giovedì 21 settembre 2017

"Valerian e la Città dei Mille Pianeti": recensione e incontro stampa con Luc Besson

di Silvia Sottile



Valerian e la Città dei Mille Pianeti è il nuovo spettacolare film di Luc Besson, il visionario regista di Léon e Il Quinto Elemento, basato sulla Graphic Novel di successo mondiale Valerian e Laureline che ha ispirato una generazione di artisti, scrittori e registi.

Nel 28° secolo Valérian (Dane DeHaan) e Laureline (Cara Delevingne) sono inviati speciali per il Governo dei Territori Umani con il compito di mantenere l’ordine nell’Universo. Sotto la direzione del loro comandante (Clive Owen), si imbarcano in un’ardua missione verso la città intergalattica di Alpha, una metropoli in velocissima espansione dove migliaia di specie diverse, provenienti da tutto l’universo, sono approdate durante i secoli per condividere sapere, intelligenza e cultura.

Ma c’è un mistero al centro di Alpha e una forza oscura minaccia la pace della Città dei Mille Pianeti…


Film europeo più costoso mai realizzato (budget di circa 180 milioni di euro), Valerian e la Città dei Mille Pianeti è un’opera visivamente strabiliante! Davvero meraviglioso l’impianto visivo creato da Besson – con l’aiuto degli effetti speciali targati ILM e WETA – per realizzare un film che aveva nel cuore (e nei sogni) da anni. In particolare colpiscono i colori, le tecnologie e la fantasia messa in campo nel dare vita a un caleidoscopico insieme di diverse creature dalle caratteristiche peculiari che convivono in un unico pianeta suddiviso in ambienti estremamente differenti l’uno dall’altro. Stupisce positivamente anche il 3D, assolutamente necessario a vivere questa esperienza immersiva.


Si avverte l’eco di molta cinematografia di fantascienza a partire da Guerre Stellari (del resto lo stesso George Lucas si era in parte ispirato al fumetto di Valerian e Laureline), ma a rendere unico e originale il lavoro di Besson è la tematica ecologica. È proprio lo sguardo delicato del regista  (che affronta con semplicità anche il concetto di genocidio per farlo comprendere al pubblico più giovane) a fare la differenza rispetto a un cinecomic Hollywoodiano contemporaneo.

I due giovani protagonisti risultano ben delineati e ben interpretati da Dane DeHaan e Cara Delavigne. Dispiace invece che alcuni personaggi (tra cui quelli interpretati da Clive Owen, Ethan Hawke e la popstar Rihanna) siano poco sfruttati o addirittura inseriti in sequenze inutili. Uno dei difetti di questa pellicola è infatti a livello di sceneggiatura. La narrazione si sviluppa in maniera semplice e fin troppo prevedibile, con alcuni snodi un po’ confusi, ma essendo una storia rivolta principalmente ai ragazzi, il risultato è nell’insieme molto godibile. E nonostante la lunga durata (140 minuti) Valerian e la Città dei Mille Pianeti scorre gradevolmente grazie a un buon ritmo, alla colonna sonora di Alexandre Desplat (con perfetti inserimenti di brani famosi, come ad esempio di David Bowie) ma soprattutto grazie all’inebriamento visivo che indubbiamente affascina e rapisce lo spettatore. 

Dal 21 settembre al cinema.


Abbiamo avuto il piacere di incontrare, in una conferenza stampa ricca di spunti interessanti, il regista Luc Besson, a Roma proprio per presentare Valerian e la Città dei Mille Pianeti. Ecco cosa ci ha raccontato, con entusiasmo e passione.

Valerian era il suo fumetto preferito da piccolo. Legge ancora fumetti?
“Sì, certo. Strano, perché sento spesso i giornalisti dire che sono infantile perché leggo fumetti. Ma io mi sento adulto. Gestire migliaia di persone o avere cinque figli dimostra che sono adulto . Ma non ho dimenticato il piccolo Luc bambino. Un filosofo, forse italiano, ha detto una volta che il bambino è il padre dell'uomo”.

Si è ispirato ad altri film di fantascienza oltre al fumetto? Come avete lavorato per portare al cinema il fumetto?
“Quando si inizia a girare un film di fantascienza bisogna smettere di vedere film di fantascienza e lavarsi da quello che si è visto. Con sei artisti abbiamo lavorato inizialmente senza sceneggiatura per esplorare creativamente cosa si poteva fare. Sono stati scelti tramite un concorso tra oltre duemila artisti e disegnatori. Volevamo immaginare come poteva essere il 28° secolo. Hanno prodotto dopo un anno migliaia di disegni, alcuni folli. Dopo un altro anno abbiamo scelto altri disegni ma stavolta con uno script e il film era già più definito”.

Nei suoi film ci sono sempre donne forti. Come mai?  Ci sono anche messaggi importanti, di civiltà, e  una tematica ecologica. Che ne pensa?
“Lotto contro la degradazione umana. È un fatto istintivo. Lotto anche contro la mia degradazione per potermi guardare allo specchio. Penso che le donne siano l'avvenire, ho un grande rispetto per le donne. Un uomo ad esempio per difendersi ricorre alla forza e alla violenza invece le donne a cervello e cuore, ed è molto meglio. Sono per il trasferimento del potere alle donne che se la cavano meglio. Ma noi giochiamo meglio a calcio.
Il vero argomento del film è quello di questi popoli che nella storia dell'umanità sono stati massacrati in nome del progresso come i nativi americani, le popolazioni indigene dell’America centrale, gli Ebrei. Quando ne parlo con i miei figli si addormentano perché gli sembra di essere a scuola. Invece parlando di Valerian mio figlio mi ha detto: ‘ma hanno ucciso sei milioni di persone!?!?’ E io gli ho detto: ‘guarda che è successo davvero, con gli Ebrei’. E lui era sconvolto e mi ha ascoltato. Mi tocca fare film da 180 milioni per farmi ascoltare dai miei figli!
Anni fa ho fatto un film che era deliberatamente di stampo ambientalista, Arthur e il popolo dei Minimei, per sensibilizzare i bambini. Un amico mi disse che suo figlio non camminava più sul prato per paura di schiacciare i Minimei”.


Valerian sarà una trilogia? Come mai la protagonista nel film non ha i capelli rossi come nel fumetto?
“Sì, mi piacerebbe molto farne tre, anche 25… ma non dipende da me. Possiamo ben sperare se avrà successo in Italia. Ci sono tanti aspetti economici, io penso solo al lato artistico.
Le ho provato capelli rossi ma non stava bene. E poi pensavo che mi avrebbero accusato di fare una protagonista uguale a quella de Il Quinto Elemento. Ho scelto la soluzione che stava meglio a lei”.

La tecnologia può fare cose incredibili. Questo può essere un limite creativo?
“La tecnologia, se utilizzata bene, libera. Il limite oggi è posto solo dall'immaginazione ed io non manco di immaginazione, quindi va benissimo. Un po’ quello che rimprovero ai film di fantascienza americani degli ultimi anni è che raccontano sempre la stessa storia. Un cattivo sempre uguale, gli alieni, un supereroe, ecc… Mi annoiano. Hanno tutti gli stessi fornitori di calzamaglia!”

Dedica il film a suo padre che le regalò il fumetto di Valerian. Deve qualcosa anche a Cameron grazie ad Avatar?
“Sì, c’è una dedica a mio padre che può essere anche una dedica al piccolo Luc. Sì, mio padre me lo regalò a dieci anni. Purtroppo è scomparso durante la lavorazione del film e non ho potuto mostrarglielo. Penso che lassù ci siano sale per mostrare questo film in 3D, magari con David Bowie. Magari, visto che sono a Roma provo a chiedere un buona parola in Vaticano.
Per quanto riguarda Cameron, non solo io gli devo molto ma tutti gli dobbiamo molto perché è stato un precursore. Quasi come un fratello maggiore che mi ha aiutato, che ci ha aiutato. Ho usato la sua tecnologia così come l’hanno usata anche altri. La proiezione per la stampa che temevo di più era quella in cui c'era lui”.


La parentesi ecologica, in particolare nella descrizione del pianeta abitato dai Pearl, il concetto di ridare alla natura ciò che ti ha dato, era presente fumetto?
“Sì, era già nel fumetto perché era un tema importante per gli autori che ne hanno già parlato trenta anni fa. Se si insiste troppo su un argomento si rischia di essere controproducenti e quindi ho cercato di sensibilizzare senza insistere. Penso che il popolo dei Pearl che non ha il senso della vendetta sia una cosa nuova e molto importante. Un grande messaggio, specie per i bambini: che la vendetta non è necessariamente la risposta automatica. Vogliono solo recuperare ciò che hanno perduto”.

Come è stato lavorare con un cast così giovane?
“Certo, sono due attori giovani ma sono anche due bravi attori e poi avevo voglia di chiamare degli attori nuovi. Anche per rinnovare gli attori che si vedono al cinema che sono sempre gli stessi. In Formula 1 ci sono piloti di 17 anni e quindi ho pensato che nel 28° secolo potessero esserci piloti di caccia giovanissimi”.

La scena con Rihanna è stata pensata proprio per lei?
“Bubble esisteva nei fumetti dal ‘75 ed è un personaggio importante perché non si limita a mascherarsi ma si trasforma e mi piaceva questo personaggio proprio perché lei si sentiva priva di personalità e di identità. Un po’ come un attore che con una trasformazione continua può essere tutti o nessuno. Per il ruolo ho subito pensato a Rihanna e il direttore del cast mi ha detto che sognavo e mi ha chiesto una seconda scelta. Invece è bastato chiedere e lei ha accettato. Quando alla fine si trasforma in Cleopatra e dice una frase di Shakespeare… è fantastico avere Rihanna che recita Shakespeare in una pellicola di fantascienza!”

La sua filmografia ha seguito un percorso particolare. Una sorta di evoluzione a partire da temi impegnati per poi spostarsi verso un immaginario più giovanile. Da cosa dipende?
Le mie scelte non hanno alcun rapporto col desiderio di arrivare a un certo pubblico o a un altro. Questo è un pensiero da giornalista. Ho iniziato da giovane e avevo voglia di scuotere una società imbambolata. Poi sono diventato vecchio e la società è diventata più dura e mi è passata la voglia di scuotere una società già in pessime condizioni. Ho voluto fare cose più belle esteticamente, divertenti. Ho il desiderio di non mollare, non so fare altrimenti, è istintivo per me. Se sto su una nave sull’Atlantico non posso scendere. Se scelgo di andare avanti, poi non mollo e sono contento di non averlo fatto”.

Cosa pensa dell’ironia?
“L’ironia è un’arma molto potente, soprattutto se vuoi dire cose importanti e pesanti: con l'ironia passano meglio come in pittura col contrasto tra i colori. L’ironia serve a sdrammatizzare”.

Come è stato lavorare con Alexandre Desplat? Lei è un fan di Star Wars?
“Con Desplat è andata benissimo, è un musicista straordinario. Sa seguire le indicazioni, dà suggerimenti, tutto perfetto. Normalmente lavoro con un collaboratore, Eric Serra, con cui siamo come una coppia e non riusciamo più a sorprenderci per cui ogni tanto c’è un piccolo tradimento e poi è bello ritrovarsi come è stato con Lucy.
Su Star Wars di Lucas, sì, sono un grande fan di questa serie: ha rivoluzionato la fantascienza. Per me è un grandissimo mito”.
 


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