lunedì 27 ottobre 2025

"Springsteen: Liberami dal Nulla" - Incontro Stampa con Scott Cooper e Jeremy Allen White

 di Silvia Sottile

Jeremy Allen White (foto di Silvia Sottile)


Springsteen: Liberami dal Nulla, il film 20th Century Studios con Jeremy Allen White nel ruolo di Bruce Springsteen, diretto da Scott Cooper, è al cinema dal 23 ottobre (qui la nostra recensione).

Abbiamo avuto il piacere di incontrare il regista Scott Cooper e il protagonista Jeremy Allen White. Ecco cosa ci hanno raccontato in conferenza stampa:

Solitudine, oscurità, umanità… Quanto è attuale Nebraska oggi? Dato che la realizzazione di questo album è il cuore del film.

Scott Cooper: “Springsteen ha scritto l’album nel 1982 ma è come se l’avesse scritto oggi. Lui stava vivendo un momento di disperazione e ha sentito la necessità di fare questo album. È un album che parla di un malessere, di una mancanza spirituale, di un’ambiguità morale. Bruce Springsteen è politico. Non al punto di far parte di un partito ma da un punto di vista umano. Il suo album parla alle persone che vivono ai margini della società, che vivono una vita di quieta disperazione, persone che lottano per raggiungere il sogno americano ma non ci riescono. Questo è quello che ha scritto nel 1982 ma è una cosa che continua ancora oggi e credo che sia questo il motivo per cui l’album sia così pertinente nel periodo che stiamo vivendo adesso in America”.

Jeremy Allen White: “Sì, l’album Nebraska lo vuoi ascoltare per creare una connessione con una solitudine. Credo sia venuto fuori dall’isolamento. Ma di fondo, quando lo ascolto, mi sento capito. C’è molta empatia nel disco. Nel mondo e negli USA c’è tantissima rabbia ma sento anche molta speranza nell’album”.

Springsteen è sempre stato molto restio ad essere raccontato sul grande schermo. Che effetto vi ha fatto la sua totale approvazione fin da subito?

Scott Cooper: “È incredibilmente gratificante. Sin dal 1986 a Bruce è stato chiesto di poter fare film sulla sua vita. Lui non concede la sua storia agli altri, soprattutto la storia di Nebraska, con grande facilità. Jon Landau (manager e amico, che nel film è interpretato da Jeremy Strong) mi ha detto: ‘Scott, questa è la prima volta in 50 anni che Bruce abbia lasciato il volante a qualcun altro’. Questo ovviamente comporta tantissima pressione ma è una cosa molto gratificante, anche perché l’album Nebraska aveva per me una risonanza molto personale. Mio padre, a cui è dedicato il film, mi ha fatto conoscere Bruce Springsteen proprio attraverso Nebraska. È il disco a cui mi rivolgevo quando scrivevo altri film, molto prima che questo film venisse preso in considerazione. Quindi quando ho incontrato Jon e Bruce per la prima volta – loro sono molto cinefili, il cinema o conoscono molto bene: Bruce aveva visto tutti i miei film, Jon è ex critico cinematografico – per la prima ora abbiamo parlato di vita, di film, e poi siamo arrivati a parlare di questo film. È stato un rapidissimo sì ed io ne sono estremamente grato”.


Scott Cooper e Jeremy Allen White (foto di Silvia Sottile)

Vi ha stupito che Springsteen abbia approvato il progetto e che poi successivamente l’abbia anche lodato?

Jeremy Allen White: “È incredibile. All’inizio ovviamente è stato un compito molto pesante. Io sono intervenuto nel progetto dopo che la struttura e la sceneggiatura erano state concordate tra Scott, Bruce e Jon. Credo abbia molto senso che Bruce abbia scelto questo periodo. Credo che Nebraska sia un lavoro molto istintivo, in cui Bruce affronta i propri demoni e il proprio dolore. In quel momento della sua vita era ad un crocevia e credo che le scelte che ha fatto in questo periodo che presentiamo nel film, gli hanno poi reso possibile condurre la vita che ha condotto. E poi il fatto che mi abbiano voluto, che Bruce e Scott siano venuti da me per propormi il progetto, mi ha fatto sentire veramente molto fortunato. Mi ricordo di essermi preso un po’ di tempo per considerare questa proposta perché la pressione era forte. Lui è una figura così iconica. Io all’inizio non volevo interrompere il rapporto che lui ha con i suoi fan, ne abbiamo parlato per una settimana. Poi Scott mi ha detto: ‘Bruce vuole che tu lo faccia’. Allora gli ho risposto: ‘Perché non me l’hai detto prima? Non mi sarei certo posto il problema del rapporto con i suoi fan’. Quindi alla fine, sono molto felice del suo supporto al film”.

Springsteen lavora su Nebraska in totale solitudine. Oggi sarebbe possibile?

Scott Cooper: “Bruce in quel momento ha fatto qualcosa di molto poco ortodosso, all’epoca si registrava in studio e invece lui lo fa nella sua camera da letto. Oggi molti album si fanno a casa, nei propri studi casalinghi, e poi i musicisti possono perfezionare la voce con l’autotune. Invece Bruce inseguiva l’essere imperfetto. Voleva ricatturare il suono che aveva registrato in camera da letto, voleva l’imperfezione. Invece negli studi il suono veniva migliorato. Bruce era ossessionato dal tentativo di trovare esattamente il suono che aveva registrato con il registratore a 4 piste. Secondo me è uno dei migliori album degli ultimi 50 anni. Ha fatto di tutto per raccontare quello che sentiva, nel modo che voleva”.

Jeremy Allen White: “Oggi si può registrare un disco ovunque ci si trovi. All’epoca era un comportamento molto radicale. Pertanto il suono dei dischi, l’intimità, quasi spettrale… adesso non è così perché c’è l’abitudine a registrare in casa. Non so se oggi sarebbe così radicale come allora, fare un disco così. Questo è sicuramente l’album più punk mai realizzato da Bruce. Non in termini di suono ma in termini di spirito. Credo che questo sia ciò che distingue questo album così particolare da tutti gli altri suoi lavori”.

La prima volta che hai incontrato Springsteen è stato a Wembley. E lì ti ha trasmesso cosa volesse dire essere ‘The Boss’… In quel momento, e anche facendo il film, hai capito qualcosa in più di te?

Jeremy Allen White: “Credo che quando ho incontrato Bruce, l’ho incontrato nel suo elemento. Si esibiva per 90.000 persone. Per me essere presente è stato un regalo. Ma mi ha anche molto intimidito perché nel giro di pochi mesi dovevo cercare di catturare alcune delle cose che lui era in grado di trasmettere. Però conoscerlo, parlargli, anche quella sera stessa… Nella sua performance c’è molto di fisico, c’è anche violenza nella sua performance sul palco, c’è una passione in quello che fa. Ma poi quando gli parli c’è tanta gentilezza, delicatezza, anche nella sua presenza. Quello che credo di essermi portato a casa, quello che ho imparato da Bruce in questo periodo della sua vita, il fatto che lui ci abbia consentito di fare questo film, ci ha lasciato la guida e la possibilità di raccontare questa storia. Da parte sua c’è stato veramente tanto coraggio. Il fatto che abbia consentito a me e Scott di metterci alla guida del progetto, parlando con le persone che gli erano molto vicine. È ammirevole in questo processo scoprire Bruce come giovane cantante ma lo abbiamo scoperto anche come persona ormai adulta. Questo è quello che mi sono portato a casa e ho imparato come lezione”.


Jeremy Allen White (foto di Silvia Sottile)

In questo film voi non raccontare il Boss, raccontate Bruce, solo che di lì a poco sarebbe diventato un mito, uno dei simboli degli Stati Uniti. Secondo voi è importante avere dei miti? Può essere pericoloso, sia per chi mitizza che per chi viene mitizzato?

Jeremy Allen White: “Potrebbe essere pericoloso? Sì. Credo che Bruce rappresenti sicuramente un’idea dell’America come molti artisti in paesi diversi rappresentano. C’è comunque molta verità nel suo essere artista. Credo che venga ammirato perché ha aiutato le persone a capire l’America, attraverso lo sguardo di Springsteen. Ovviamente queste cose non sono mai così semplici. Secondo me è una versione molto bella dell’America. La realtà dell’America ovviamente non è questa. Credo che sia molto difficile essere completamente rappresentativi, che una persona sola possa rappresentare un intero paese

Scott Cooper: “Faccio eco a quello che ha detto Jeremy ma voglio aggiungere che l’obiettivo di questo film era proprio quello di spogliare l’icona, spogliare la mitologia. Ognuno ha un’idea propria di chi è Bruce Springsteen. Per alcuni è Born in the USA… Nebraska sicuramente è uno degli album meno conosciuti ma tra i più rispettati, per cui quando io, Bruce e Jeremy abbiamo parlato di dover affrontare un film su Bruce Springsteen, non era un film sull’icona ma su un’anima che cerca di ripararsi e di curarsi attraverso la musica. Come dice Jeremy, non si tratta di Springsteen ma semplicemente di un uomo che soffre per un trauma non risolto, un uomo che, sebbene all’esterno possa dare l’impressione che tutto vada bene (è appena arrivato da un tour di successo, sta diventando una superstar), ma Bruce silenziosamente si stava sgretolando all’interno. Viveva una vita di isolamento e disperazione silenziosa. Su questo ci siamo concentrati e non sul mito, proprio per renderlo più umano”.

A proposito di pressioni e di aspettative, come stai vivendo le voci che arrivano dagli Stati Uniti a proposito di una candidatura all’Oscar?

Jeremy Allen White: “Tutto molto bello. Nello stesso modo in cui Bruce ha fatto il suo disco Nebraska, io non credo che ci si possa concentrare sul risultato, sull’esito di quello che stai facendo. Sicuramente non qualcosa che viene dopo aver fatto un film. Se siamo abbastanza fortunati da attirare quel tipo di attenzione, sarà bello perché questo ovviamente attirerà attenzione sul film, molte più persone lo vedranno. Semmai dovesse succedere. Ma io non mi voglio concentrare su quello che può essere l’esito. Per quanto mi riguarda sono già felicissimo di aver fatto questo viaggio con Scott e Bruce”.

Scott Cooper: “Jeremy ha moltissimi tratti in comune con Bruce Springsteen e uno di questi è l’umiltà. Credo che Jeremy lo meriti l’Oscar!”.


Nessun commento:

Posta un commento