di Silvia Sottile
Springsteen: Liberami dal Nulla, il film 20th Century Studios con Jeremy Allen White nel ruolo di Bruce Springsteen, diretto da Scott Cooper, è al cinema dal 23 ottobre (qui la nostra recensione).
Abbiamo avuto il piacere di incontrare il regista Scott
Cooper e il protagonista Jeremy Allen White. Ecco cosa ci hanno raccontato in
conferenza stampa:
Solitudine,
oscurità, umanità… Quanto è attuale Nebraska
oggi? Dato che la realizzazione di questo album è il cuore del film.
Scott Cooper: “Springsteen
ha scritto l’album nel 1982 ma è come se l’avesse scritto oggi. Lui stava
vivendo un momento di disperazione e ha sentito la necessità di fare questo
album. È un album che parla di un malessere, di una mancanza spirituale, di un’ambiguità
morale. Bruce Springsteen è politico. Non al punto di far parte di un partito
ma da un punto di vista umano. Il suo album parla alle persone che vivono ai
margini della società, che vivono una vita di quieta disperazione, persone che
lottano per raggiungere il sogno americano ma non ci riescono. Questo è quello
che ha scritto nel 1982 ma è una cosa che continua ancora oggi e credo che sia
questo il motivo per cui l’album sia così pertinente nel periodo che stiamo
vivendo adesso in America”.
Jeremy Allen White: “Sì, l’album Nebraska lo vuoi ascoltare per creare una connessione con
una solitudine. Credo sia venuto fuori dall’isolamento. Ma di fondo, quando lo
ascolto, mi sento capito. C’è molta empatia nel disco. Nel mondo e negli USA c’è
tantissima rabbia ma sento anche molta speranza nell’album”.
Springsteen
è sempre stato molto restio ad essere raccontato sul grande schermo. Che effetto
vi ha fatto la sua totale approvazione fin da subito?
Scott Cooper: “È
incredibilmente gratificante. Sin dal 1986 a Bruce è stato chiesto di poter
fare film sulla sua vita. Lui non concede la sua storia agli altri, soprattutto
la storia di Nebraska, con grande facilità. Jon Landau (manager e amico, che
nel film è interpretato da Jeremy Strong) mi ha detto: ‘Scott, questa è la
prima volta in 50 anni che Bruce abbia lasciato il volante a qualcun altro’. Questo
ovviamente comporta tantissima pressione ma è una cosa molto gratificante,
anche perché l’album Nebraska aveva per me una risonanza molto personale. Mio padre,
a cui è dedicato il film, mi ha fatto conoscere Bruce Springsteen proprio
attraverso Nebraska. È il disco a cui mi rivolgevo quando scrivevo altri film,
molto prima che questo film venisse preso in considerazione. Quindi quando ho
incontrato Jon e Bruce per la prima volta – loro sono molto cinefili, il cinema
o conoscono molto bene: Bruce aveva visto tutti i miei film, Jon è ex critico
cinematografico – per la prima ora abbiamo parlato di vita, di film, e poi
siamo arrivati a parlare di questo film. È stato un rapidissimo sì ed io ne
sono estremamente grato”.
Vi
ha stupito che Springsteen abbia approvato il progetto e che poi
successivamente l’abbia anche lodato?
Jeremy Allen White: “È incredibile. All’inizio ovviamente è stato un compito molto pesante. Io
sono intervenuto nel progetto dopo che la struttura e la sceneggiatura erano
state concordate tra Scott, Bruce e Jon. Credo abbia molto senso che Bruce
abbia scelto questo periodo. Credo che Nebraska sia un lavoro molto istintivo,
in cui Bruce affronta i propri demoni e il proprio dolore. In quel momento
della sua vita era ad un crocevia e credo che le scelte che ha fatto in questo
periodo che presentiamo nel film, gli hanno poi reso possibile condurre la vita
che ha condotto. E poi il fatto che mi abbiano voluto, che Bruce e Scott siano
venuti da me per propormi il progetto, mi ha fatto sentire veramente molto
fortunato. Mi ricordo di essermi preso un po’ di tempo per considerare questa
proposta perché la pressione era forte. Lui è una figura così iconica. Io all’inizio
non volevo interrompere il rapporto che lui ha con i suoi fan, ne abbiamo
parlato per una settimana. Poi Scott mi ha detto: ‘Bruce vuole che tu lo faccia’.
Allora gli ho risposto: ‘Perché non me l’hai detto prima? Non mi sarei certo
posto il problema del rapporto con i suoi fan’. Quindi alla fine, sono molto
felice del suo supporto al film”.
Springsteen
lavora su Nebraska in totale
solitudine. Oggi sarebbe possibile?
Scott Cooper: “Bruce
in quel momento ha fatto qualcosa di molto poco ortodosso, all’epoca si
registrava in studio e invece lui lo fa nella sua camera da letto. Oggi molti
album si fanno a casa, nei propri studi casalinghi, e poi i musicisti possono
perfezionare la voce con l’autotune. Invece Bruce inseguiva l’essere
imperfetto. Voleva ricatturare il suono che aveva registrato in camera da letto,
voleva l’imperfezione. Invece negli studi il suono veniva migliorato. Bruce era
ossessionato dal tentativo di trovare esattamente il suono che aveva registrato
con il registratore a 4 piste. Secondo me è uno dei migliori album degli ultimi
50 anni. Ha fatto di tutto per raccontare quello che sentiva, nel modo che
voleva”.
Jeremy Allen White: “Oggi si può registrare un disco ovunque ci si trovi. All’epoca era un
comportamento molto radicale. Pertanto il suono dei dischi, l’intimità, quasi
spettrale… adesso non è così perché c’è l’abitudine a registrare in casa. Non so
se oggi sarebbe così radicale come allora, fare un disco così. Questo è
sicuramente l’album più punk mai realizzato da Bruce. Non in termini di suono
ma in termini di spirito. Credo che questo sia ciò che distingue questo album
così particolare da tutti gli altri suoi lavori”.
La
prima volta che hai incontrato Springsteen è stato a Wembley. E lì ti ha
trasmesso cosa volesse dire essere ‘The Boss’… In quel momento, e anche facendo
il film, hai capito qualcosa in più di te?
Jeremy Allen White: “Credo che quando ho incontrato Bruce, l’ho incontrato nel suo elemento.
Si esibiva per 90.000 persone. Per me essere presente è stato un regalo. Ma mi
ha anche molto intimidito perché nel giro di pochi mesi dovevo cercare di
catturare alcune delle cose che lui era in grado di trasmettere. Però conoscerlo,
parlargli, anche quella sera stessa… Nella sua performance c’è molto di fisico,
c’è anche violenza nella sua performance sul palco, c’è una passione in quello
che fa. Ma poi quando gli parli c’è tanta gentilezza, delicatezza, anche nella
sua presenza. Quello che credo di essermi portato a casa, quello che ho
imparato da Bruce in questo periodo della sua vita, il fatto che lui ci abbia
consentito di fare questo film, ci ha lasciato la guida e la possibilità di
raccontare questa storia. Da parte sua c’è stato veramente tanto coraggio. Il fatto
che abbia consentito a me e Scott di metterci alla guida del progetto, parlando
con le persone che gli erano molto vicine. È ammirevole in questo processo
scoprire Bruce come giovane cantante ma lo abbiamo scoperto anche come persona
ormai adulta. Questo è quello che mi sono portato a casa e ho imparato come
lezione”.
In
questo film voi non raccontare il Boss, raccontate Bruce, solo che di lì a poco
sarebbe diventato un mito, uno dei simboli degli Stati Uniti. Secondo voi è
importante avere dei miti? Può essere pericoloso, sia per chi mitizza che per
chi viene mitizzato?
Jeremy Allen White: “Potrebbe essere pericoloso? Sì. Credo che Bruce rappresenti sicuramente
un’idea dell’America come molti artisti in paesi diversi rappresentano. C’è
comunque molta verità nel suo essere artista. Credo che venga ammirato perché ha
aiutato le persone a capire l’America, attraverso lo sguardo di Springsteen. Ovviamente
queste cose non sono mai così semplici. Secondo me è una versione molto bella
dell’America. La realtà dell’America ovviamente non è questa. Credo che sia
molto difficile essere completamente rappresentativi, che una persona sola
possa rappresentare un intero paese”
Scott Cooper: “Faccio
eco a quello che ha detto Jeremy ma voglio aggiungere che l’obiettivo di questo
film era proprio quello di spogliare l’icona, spogliare la mitologia. Ognuno ha
un’idea propria di chi è Bruce Springsteen. Per alcuni è Born in the USA…
Nebraska sicuramente è uno degli album meno conosciuti ma tra i più rispettati,
per cui quando io, Bruce e Jeremy abbiamo parlato di dover affrontare un film
su Bruce Springsteen, non era un film sull’icona ma su un’anima che cerca di
ripararsi e di curarsi attraverso la musica. Come dice Jeremy, non si tratta di
Springsteen ma semplicemente di un uomo che soffre per un trauma non risolto,
un uomo che, sebbene all’esterno possa dare l’impressione che tutto vada bene
(è appena arrivato da un tour di successo, sta diventando una superstar), ma
Bruce silenziosamente si stava sgretolando all’interno. Viveva una vita di
isolamento e disperazione silenziosa. Su questo ci siamo concentrati e non sul
mito, proprio per renderlo più umano”.
A
proposito di pressioni e di aspettative, come stai vivendo le voci che arrivano
dagli Stati Uniti a proposito di una candidatura all’Oscar?
Jeremy Allen White: “Tutto molto bello. Nello stesso modo in cui Bruce ha fatto il suo disco
Nebraska, io non credo che ci si possa concentrare sul risultato, sull’esito di
quello che stai facendo. Sicuramente non qualcosa che viene dopo aver fatto un
film. Se siamo abbastanza fortunati da attirare quel tipo di attenzione, sarà
bello perché questo ovviamente attirerà attenzione sul film, molte più persone
lo vedranno. Semmai dovesse succedere. Ma io non mi voglio concentrare su quello
che può essere l’esito. Per quanto mi riguarda sono già felicissimo di aver
fatto questo viaggio con Scott e Bruce”.
Scott Cooper: “Jeremy ha moltissimi tratti in comune con Bruce Springsteen e uno di questi è l’umiltà. Credo che Jeremy lo meriti l’Oscar!”.
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