domenica 25 febbraio 2018

"Quello che non so di lei": un affascinante gioco a due

di Alberto Leali



Delphine (Emmanuelle Seigner) è l'autrice di un romanzo dedicato a sua madre che ha ottenuto uno straordinario successo. La scrittrice riceve, però, delle misteriose lettere anonime che l'accusano violentemente di avere messo in piazza storie che avrebbero dovuto rimanere private. Turbata, Delphine non riesce a tornare a scrivere, finché non incontra una sua appassionata lettrice, la bella scrittrice Elle (Eva Green), che si dimostra l'unica capace di sostenerla e aiutarla in un momento così difficile. Allo stesso tempo, però, la ragazza la spinge a scrivere un romanzo ancor più intimo del precedente, diventando sempre più morbosa. Chi è in realtà Elle?

Roman Polanski è uno dei pochi cineasti che, nonostante tratti da sempre le stesse tematiche, è ancora capace, a suo modo, di stupirci. La decisione di trasporre il romanzo di genere di Delphine De Vigan, che più di un debito ha con Misery non deve morire di Stephen King, risulta, però, piuttosto curiosa.


Che questo thriller così comune, giocato sul tema del doppio e sulla crisi dello scrittore, nasconda, quindi, un intento diverso?

Ebbene sì, Polanski è consapevole che ciò che ci sta proponendo è un concentrato, nemmeno tanto verosimile, di stereotipi del genere e, al contempo, dei temi prediletti della sua filmografia. Ciò che traspare da Quello che non so di lei è, però, l'abilità, non esente da ironia, di maneggiare una materia da romanzetto, trasformandola in un gioco di alta classe.

Due donne che inizialmente sembra si attraggano, diventano, sempre più una lo specchio dell’altra, assumendo perfino sembianze molto simili: in un continuo ribaltamento delle parti, Delphine ed Elle si cannibalizzano in cerca di creazione, di affermazione, di vita.

Polanski si diverte a mescolare gli elementi più classici del noir con quelli del racconto psicologico e del mélo; il suo cinema (Repulsion, L'inquilino del terzo piano, Luna di fiele, L'uomo nell'ombra, Venere in pelliccia) con Il servo, Che fine ha fatto Baby Jane?, Misery non deve morire.


Il risultato è un film che per trama sembra uguale a tanti altri, ma che è così seducente, claustrofobico e rassicurantemente "polanskiano" da incantarci.

Il merito va soprattutto alla bravura e alla bellezza delle due protagoniste, Emmanuelle Seigner ed Eva Green, che inscenano superbamente un intrigante e vampiresco gioco a due, in bilico fra realtà e finzione. 

Da non sottovalutare anche la presenza di Olivier Assayas alla sceneggiatura, che segna l'opera in maniera significativa. Non è difficile, infatti, vederci elementi comuni a Personal Shopper o a Sils Maria, non solo nell'ambiguo confronto fra le due donne, ma anche nella presenza massiccia di iPhone e computer che divengono elementi di ulteriore smarrimento.

Forse il senso del film è che non possiamo più contare su un concetto certo di realtà: oggi che qualsiasi cosa, fatto o persona può essere facilmente manipolato, trasformandosi in qualcos'altro rispetto a ciò che credevamo fosse, la formula "da una storia vera", come recita il ben più congruo titolo originale, non ha più molto significato.

Dal 1° marzo al cinema.
 

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