lunedì 14 maggio 2018

"Loro": incontro stampa con regista e cast

di Silvia Sottile



Loro 1 è al cinema dal 24 aprile (qui la recensione); Loro 2 è arrivato nelle nostre sale il 10 maggio (qui la recensione), piazzandosi subito in testa al box office il primo giorno di programmazione, per poi assestarsi in seconda posizione nel weekend, a ridosso dell’imbattibile Avengers: Infinity War. Ma cosa ha voluto esattamente mettere in scena il regista? Quali le sue intenzioni più profonde? Come si sono immersi nei rispettivi ruoli i protagonisti? A queste e ad altre domande hanno risposto direttamente Paolo Sorrentino, Toni Servillo ed Elena Sofia Ricci nel corso della conferenza stampa di presentazione. 

Iniziamo con le dichiarazioni del regista:

Paolo Sorrentino: “Questo non è un film politico. Da parte mia sarebbe stato stupido fare un film schierato, ideologico, che mettesse in scena il Berlusconismo. Sono state questioni già ampiamente sviscerate, dibattute e assolutamente fuori tempo massimo. Quello che mi sembrava non fosse stato detto, o meglio, forse era stato detto anche questo, ma non era stato così puntualizzato, era la dimensione dei sentimenti che stavano dietro l’uomo politico e che stavano dietro certi personaggi che vengono raccontati nel film. Quindi il film non è assolutamente schierato. Non è né un attacco né tantomeno una difesa. Il fatto che ci sia la controparte – che nel film viene in qualche maniera interpretata da Elena Sofia Ricci che fa Veronica e che forse incarna una serie di domande che molti detrattori avrebbero voluto fargli – non significa che io sia d’accordo con Veronica o che sia d’accordo con Silvio Berlusconi. Non è proprio questo il senso del film che volevamo fare. Il senso era indagare la dimensione dei sentimenti che stavano dietro ai personaggi. 


Dietro i sentimenti, ci sono, per me, le paure. Come la capretta ha paura dell’aria condizionata, ci sono tante forme di paura rappresentate nel film, che riguardano i giovani, che riguardano le persone di mezza età e altre che riguardano ovviamente Berlusconi. Sarò ripetitivo, farò sempre film sulla stessa cosa ma ovviamente la paura della vecchiaia riguarda Berlusconi, mentre la paura della morte è una paura che aleggia in tutti, aleggia  anche nei ragazzi di 20 anni che vengono messi in scena nel film. E in questo sta secondo me la dimensione di attualità del film, non nei fatti, perché i fatti sono storici, e da questo punto di vista si può considerare un film in costume. Quello che si spera possa essere attuale sono i sentimenti delle persone che rimangono più o meno i medesimi nei secoli e che poi si sviluppano in maniere diverse. In quel periodo storico si sono sviluppati con un prorompente vitalismo e come tutte le forme di vitalità, segue una inevitabile e ineluttabile delusione.

Il mio sguardo sta nel tono che ho adoperato, il tono della tenerezza. Non avevo nessuna voglia di puntare il dito contro nessuno, sarebbe stato anche pretenzioso e presuntuoso. Io penso, a dispetto della cronaca, dell’attualità, che è sempre più emotiva, irrazionale e nervosa, che un film e un libro possano e debbano essere gli ultimi avamposti della comprensione di qualcosa. Comprensione non soltanto nel senso di capire ma proprio di essere comprensivi, anche se questo, su temi del genere, ti espone a giudizi non gradevoli. Però è un rischio che penso vada corso. Credo che si debba essere comprensivi, nel senso di comprendere il perché di certi atteggiamenti anche quando non ci piacciono, anche quando sono moralmente discutibili. Io sono fermamente convinto di questo e ho provato a fare questo.


Una delle chiavi d’accesso possibili era proprio partire dalla storia d’amore tra due persone. Poi il film prende altre direzioni, magari troppe, non lo so, entra in altri ambiti, però il punto di partenza è esattamente una storia d’amore. Mi sembrava il modo più efficace e inedito per raccontare le persone di cui si è letto e visto tanto.

Non è propriamente un film sugli italiani, ne esistono anche altri. Non volevo fare questo, il film è più uno sguardo su un periodo che ha delle sue caratteristiche, gli anni 2006/2010. Forse le caratteristiche di quegli anni sono anche figlie degli anni ’90 però non mi addentrerei in un’analisi dei decenni. In qualche maniera penso che quelle derive di comportamento possano essere figlie di un decennio poco esplorato che sono gli anni ’90. Non è un film sugli italiani, è un film, anche, su una parte degli italiani. Invece credo che si esplorino dei sentimenti universali. La dimensione dei sentimenti, una volta messa a fuoco, spero possa rimanere dentro. Ci sono delle caratteristiche che accompagnano anche gli italiani: non c’è solo il lato dell’aberrazione e delle libertà spregiudicate o addirittura depravate che si vedono nella prima parte, c’è anche una dimensione di eroismo, come si evince dalla scena finale. È un film che compie un timido tentativo di raccontare – attraverso dei personaggi, alcuni inventati, di altri abbiamo letto le cronache negli anni passati – anche noi.


Il gioco del ‘chi è chi?’ sarà anche legittimo ma non ha molto senso, nella misura in cui nel film ci sono dei personaggi reali con i loro nomi. Gli altri, se non hanno dei nomi reali, è perché non sono quelli a cui si fa riferimento nella stampa. Il personaggio di Fabrizio Bentivoglio non è, come ho letto, Bondi. Sì, è vero, dice delle poesie ma penso che una persona su due al mondo scrive e recita poesie, almeno segretamente. Così come il personaggio di Kasia non è Sabina Began. Ci tengo a dirlo, perché non si scherza col fatto che persone vengano chiamate in causa quando io non volevo chiamarle in causa. Se ho dato dei nomi fittizi è perché volevo essere libero di inventare dei personaggi. Quando invece sono stati dati dei nomi veri è perché aveva senso seguire le vicende dei personaggi.

Se è più difficile fare un film sul Papa o su Berlusconi? Forse su Berlusconi, anche se questo film non è solo ed esclusivamente su Berlusconi. È sicuramente un film su Berlusconi ma quando si ha a che fare con i personaggi reali, tutto diventa più complicato. La libertà creativa che siamo soliti prenderci viene inevitabilmente contenuta da tante ragioni. La serie sul Papa era su un Papa completamente inventato che non ci sarà mai, quindi, stando su una cornice di verosimiglianza di quel mondo, l’inventiva era assoluta. Qui l’invenzione deve essere contenuta per varie ragioni.

Posso capire che a qualcuno possa stufare, questo è assolutamente legittimo, ma non posso che fare film alla Sorrentino, è piuttosto difficile uscire da se stessi! Molti dicono che cerco di imitare Kubrick, Fellini, Scorsese… tutto quello che io posso dire è citare Radiguet che diceva ‘bisogna provare a imitare i capolavori; è nella misura in cui non ci si riesce che si diventa originali’. Voi mi avete sempre detto che non riesco a imitare queste persone, mi dovete almeno concedere che sono originalissimo”.


E, per concludere, lasciamo la parola ai due attori protagonisti, Elena Sofia Ricci (Veronica Lario) e Toni Servillo (Silvio Berlusconi):

Elena Sofia Ricci: “Io faccio un po’ di fatica a parlare di un personaggio reale, esistente, che ho interpretato e ho cercato di interpretare. Mi sono preparata leggendo la biografia della signora Lario, così ho potuto sapere qualcosa di lei in particolare. Ma quando io ho letto la sceneggiatura che Paolo aveva scritto, ho letto cose riferibili a Veronica Lario ma che riguardano un po’ tutte noi donne: il tema del disincanto, il tema della fine di un amore importante, il sentire un progetto per il quale si è vissuto, sgretolarsi sotto le mani, questo senso di malinconia, di dolore, di fine, la paura della vecchiaia, il vedersi sfiorire, cosa che riguarda tutte noi donne che non abbiamo più vent’anni. Non so se questa era l’intenzione di Paolo, a parte che mi sono fatta guidare come una danzatrice di tango, ma di mio mi è venuto naturale mettere proprio il sentimento di una donna – io ho 56 anni – con tutto quello che una donna può aver vissuto. Il dolore della separazione è qualcosa che io conosco, tutti sentimenti che molte di noi conoscono, il senso della dignità, della difesa della propria dignità, mi sembrano sentimenti universali, non solo di Veronica. Quando io ho visto il film, dopo un po’, io non vedevo né me stessa nel film ma neanche Veronica, ma vedevo un po’ tutte noi donne che abbiamo vissuto quel tipo di sentimento. Quindi con questo spirito io mi sono semplicemente lasciata guidare da Paolo e ho avuto la fortuna di avere Toni Servillo con il quale è facilissimo recitare perché è un gigante.

Parecchi italiani si possono riconoscere in Veronica, anche gli uomini, ne sono certa. Sono entrata a vedere ‘Loro’ e sono uscita dopo aver visto ‘Noi’, sia le parti più brutte che più belle di noi. Per questo credo che il film sia molto potente, quasi un’esperienza fisica che si fa, almeno io ho fatto, da spettatrice. Ed è vera questa cosa della tenerezza. Questo è il sentimento che mi ha aiutato a interpretare questo ruolo, anche un senso di pietas profonda”.


Toni Servillo: “Io ho avuto la fortuna di fare ‘Il Divo’ con Paolo prima di questo film. Una fortuna non solo perché è un film di cui sono orgoglioso ma perché ho avuto la possibilità di mettere continuamente a confronto l’uno con l’altro nell’interpretare un personaggio reale, soprattutto un personaggio politico. Il divo era un personaggio che si attribuiva questa qualifica degli imperatori romani, un personaggio che si muoveva totalmente negli ambienti e nei palazzi della politica con una introversione che alimentava il mistero, il segreto. Questo personaggio è completamente diverso, è un divo ma è un divo necessariamente estroverso che si pone al centro della scena politica con una estroversione che ne fa quasi un personaggio da cinema, cioè qualcuno che con la sua presenza occupa in maniera ossessiva l’interiorità. Questo è il racconto della prima parte, di chi tenta affannosamente di imitare con le azioni il modello, senza riuscirci. E questa è la cosa che mi interessava di più nel dialogo tra le due interpretazioni. Poi quando una sceneggiatura ti offre una scena come lo sdoppiamento… Quando io ho letto la sceneggiatura e ho letto la scena con Ennio Doris ed Ennio Doris aveva lo stesso volto di Berlusconi, del personaggio principale, o quando ho letto la scena della telefonata, ho capito che Paolo ci portava in una zona che si allontanava dalla cronaca e invece cercava di raccontare col linguaggio del cinema la cronaca, come era accaduto nel divo. 

La cosa più interessante del privato del personaggio, a me è sembrata questa distanza dagli spazi della politica e il modo in cui Paolo lo affronta, in questo Eden sardo, in cui noi vediamo un personaggio in uno stato di sopravvivenza che si alimenta del dolore o, cosa forse ancora più interessante, il potere che si alimenta di questa condizione di sopravvivenza, cioè non pianifica, non organizza ma aspetta il momento per rientrare in scena. Questo mi sembrava il momento privato più interessante che poi viene sviluppato dopo. Poi, è chiaro, uno fa riferimento anche alla dimensione documentata, ma quella basta vivere, per documentarsi, in certe epoche che sono in diretta con il racconto degli anni che abbiamo vissuto recentemente. Quindi nessun approccio troppo meticoloso nell’imitare ma, invece, seguire fedelmente un’indicazione che mi sembrava emergere con evidenza dalla sceneggiatura, di natura soprattutto simbolica”. 





 Copyright foto © Silvia Sottile

Nessun commento:

Posta un commento