venerdì 13 aprile 2018

"The Happy Prince" - Incontro stampa con Rupert Everett

di Silvia Sottile



The Happy Prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde, diretto e interpretato da Rupert Everett, è in sala dal 12 aprile (Qui la nostra recensione). In occasione della presentazione alla stampa romana, abbiamo incontrato il regista e attore britannico. 

Ecco cosa ci ha raccontato:

Lei attualmente sta girando la serie Il Nome della Rosa, dove ha il ruolo dell’inquisitore. Oscar Wilde invece è un personaggio molto diverso. Come è nato questo progetto? Lei lo ha voluto a tutti i costi, lo ha interpretato a teatro ed ha anche fatto due film tratti dalle sue opere…
Interpretare questo Oscar Wilde era un’opportunità da non perdere. Oscar Wilde ha scritto tante cose fantastiche su Cristo. C’è qualcosa in comune, quindi, tra questi due personaggi ma l’inquisitore di Umberto Eco è molto più cattivo! Io ho scritto la sceneggiatura di questo film su Oscar Wilde 10 anni fa e ci sono voluti dieci anni per trovare i finanziamenti per fare il film. Era difficilissimo trovare i soldi, in questo momento non è facile… forse non ero più molto famoso nel cinema!”

Qui il video - Parte 1

Cosa pensa delle critiche (positive o negative) al suo film?
Io credo che o ti piace un film o non ti piace. Io ho messo veramente tutto in questo film e non posso fare di più. Non voglio pensare alle critiche negative… sempre gli americani!”

Cosa ci può dire a proposito delle difficoltà che incontra nel mondo del cinema chi è omosessuale? E del suo rapporto con Oscar Wilde, forse anche un po’ autobiografico?
“Per quanto mi riguarda personalmente, per la mia carriera, quando lavori in un mondo come quello del cinema, che è un mondo che, anche se forse non lo è più oggi, è stato aggressivamente eterosessuale, devi in un certo senso trattare e negoziare se sei gay, e prima o poi finisci, o almeno finivi, con lo scontrarti con un muro forte e pesante di mattoni. Forse la situazione oggi non è più così ma io mi ricordo intorno agli anni ’80 e ’90 non era assolutamente facile. E Oscar Wilde per me è stato una grandissima fonte di ispirazione. Io mi ricordo quando ero giovane, più o meno intorno alla metà degli anni ’70 a Londra, che l’essere omosessuali era legale soltanto dal 1968, quindi era stata legalizzata la possibilità soltanto 5 anni prima. Quindi da questo punto di vista la sensazione è un po’ quella di ripercorrere le orme di Oscar Wilde”.


Per la scena sul mare che sembra un dipinto, ma anche per il film in generale, ha avuto qualche fonte di ispirazione pittorica? E spunti teatrali?
“Sì, naturalmente. Abbiamo utilizzato molti riferimenti pittorici e fotografici, in particolare perché non abbiamo potuto girare a Parigi ma abbiamo girato in Germania e in Belgio, quindi abbiamo dovuto coprire certe caratteristiche tipicamente tedesche o belghe per conferire un’atmosfera parigina. Nel film ci sono molti sipari che si aprono, del resto Oscar Wilde era un personaggio molto teatrale”.

Secondo lei è possibile che a Wilde abbiano fatto pagare non solo l’omosessualità ma anche l’essere fuori dal sistema, l’essere irlandese? Forse può essersi trattato di un fatto politico?
“Sì, lui non era inglese e guardava agli inglesi come li guarda uno straniero, con uno sguardo da esterno. Credo che ci sia la tendenza a dimenticare questa cosa, e lui era anche estremamente snob. Per lui è stato fantastico incontrare un aristocratico ma è stato anche pericoloso prendere in giro l’establishment inglese. Questo l’ha pagato. Dal punto di vista politico, però, si è tirato addosso da solo lo scandalo. Lui ha portato il Lord in tribunale, non il contrario. Se non l'avesse fatto, probabilmente l'establishment l'avrebbe accettato, avrebbe chiuso un occhio. Questo è successo perché, essendo arrivato all'apice del successo, Wilde non aveva più consapevolezza di cosa fosse il mondo, di come andassero le cose. Pensava che il mondo fosse fatto per lui, non ne aveva più la percezione. La distruzione all’inizio se l’è autoinflitta. Poi però ci sono andati giù pesante.

Come avete lavorato sulla fotografia del film che rende così bene quel periodo storico? A chi si è ispirato per la regia? Come mai ha scelto proprio gli ultimi anni?
“Per quello che riguarda i movimenti di macchina io volevo che il film fosse una specie di mix tra il cinema di Visconti e le riprese fatte dalle telecamere a circuito chiuso. Nel senso che volevo che ci fosse un qualcosa di estremamente costruito e progettato ma al contempo avere un po’ lo stile della camera a spalla, quindi della ripresa effettuata in maniera più naturalistica. Lo stile che mi piace moltissimo è quello dei film dei fratelli Dardenne che utilizzano un trucchetto: fanno sì che il personaggio guardi nella macchina da presa, quindi stabilisca un rapporto con la macchina da presa che poi però segue il personaggio. È una cosa che io trovo fantastica perché la maggior parte delle volte ti trovi a vedere il personaggio di schiena, cosa che trovo molto bella e anche molto realistica. Quindi volevo esattamente questa combinazione.
Ho scelto gli ultimi anni di Oscar Wilde perché trovo che quest’ultima parte della sua vita sia una storia estremamente romantica, anche perché trovo molto interessante e molto romantica l’ultima parte del XIX secolo. Amo la Belle Époque, mi piace l’ultimo decennio del XIX secolo, trovo fantastico questo vagabondo della letteratura insieme ad un altro, Verlaine, due grandi geni sottoposti a ostracismo da parte della società, trasformati in relitti lungo i boulevard che vanno a pietire qualcuno che gli offra qualcosa da bere”.


Quali sono state le sue fonti? Che rapporto ha con Visconti, in particolare con Morte a Venezia?
“Ho letto tutto di Wilde, le opere teatrali, i libri, le lettere. È stato molto eccitante poter conoscere il quotidiano attraverso le lettere. Lui scriveva in maniera molto dettagliata e  attraverso le sue descrizioni si capiva cosa facesse quotidianamente.
Il personaggio di Tadzio di Morte a Venezia è stato molto presente nella mia mente, ho pensato a lui nell’elaborare l’aspetto di “Bosie”. Morte a Venezia è tra miei film preferiti. Adoro il cinema italiano e Visconti. Il mio viaggio cinematografico inizia con Zeffirelli, che era assistente di Visconti. Amo Romeo e Giulietta, amo il cinema italiano, l’attenzione ai costumi… anche i truccatori del mio film sono italiani!”


Ha mai preso in considerazione un altro attore per il ruolo di Oscar Wilde o ha pensato subito a se stesso?
“Volevo essere io il protagonista perché volevo lavorare nel cinema e ho pensato che il modo migliore fosse proprio quello di scrivere un buon ruolo per me!”

Dal film si evince una certa spiritualità di Wilde, quasi cristologica… che rapporto aveva con la religione e con la figura di Cristo? E lei?
“Wilde nella sua vita ha flirtato a lungo con la Chiesa Cattolica, lui aveva un'immagine e un'idea di Cristo. Non si sa infatti perché non sia fuggito per evitare la prigione. Avrebbe potuto farlo. Per me lui ha visto un'opportunità nella prigione, l’opportunità di rinascere, come Cristo. La sua idea di Cristo, che si evince leggendo il ‘De profundis’, è molto interessante. Io sono stato educato nella Chiesa Cattolica per cui anche per me è importante”.

Tornando al tema dell’omosessualità: abbiamo letto che solo nel 2017 il “crimine” di Oscar Wilde fu “perdonato”, come vede oggi la situazione?
“Purtroppo l’omofobia è molto preoccupante, anche in Italia e in Inghilterra. La storia di quest’uomo distrutto perché omosessuale ancora oggi accade, non solo in paesi come la Russia, la Cina, ma la cosa peggiore è che succede anche in Inghilterra (dove c’è l’UKIP) e in Italia (con la Lega). Tutti questi atti di omofobia sono molto preoccupanti: ragazzini che si suicidano o istituzioni che non sostengono più il Gay Pride! È tutto molto preoccupante e bisogna fare molta attenzione”. 

Ci può parlare della figura di Robbie Ross, sicuramente la più importante nella vita di Wilde?
Robbie Ross è una figura tragicamente romantica. Wilde credeva di amare ‘Bosie’ ma in realtà amava Ross che rappresenta il vero amore, quello che dà attenzioni senza volere nulla in cambio. Il rapporto con lui è importantissimo. Era un rapporto d'amore. Infatti Ross è sepolto con lui ma Wilde era troppo pieno di sé per capirlo. Eppure era proprio come il vero amore dovrebbe essere”.

Come ha lavorato per descrivere l’omosessualità a quei tempi?
“La cosa più importante era fornire un quadro accurato di com’era essere omosessuale in quei tempi. C’era questo migrare, da parte degli omosessuali, dal Nord Europa verso Napoli e poi in Africa, in Tunisia, per poter  vivere liberamente com’erano. Ho potuto utilizzare bravissimi attori napoletani. Sarebbe stato facile sovrapporre gli omosessuali moderni a quelli del XIX secolo ma non era quello che volevo. Oltretutto Napoli era in un momento immediatamente successivo all’unificazione d'Italia, sembrava incredibile che fosse nello stesso stato di Venezia dove era andato Byron. Ma Napoli dall’unificazione non si è più ripresa”.

Per concludere, Oscar Wilde giocava un po’ coi sentimenti di Bosie e Ross…
“Sì, a Oscar Wilde piace giocare con le persone, non riesce a non farlo. Lui è una star e ha bisogno di attenzioni da parte di tutti . A Bosie, per irritarlo, dice che Ross lo ama in un modo che lui non potrà mai capire e fa la stessa cosa a parti invertite. È un aspetto pericoloso di Wilde ma anche divertente. Non volevo trasformarlo in un’icona ma volevo renderlo umano. Così non è monodimensionale”.


Copyright foto © Silvia Sottile


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