di Silvia Sottile
Da venerdì 10 gennaio arriverà in esclusiva su Sky e in streaming solo su NOW la serie Sky Original M – Il Figlio del Secolo (qui la nostra recensione), dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati vincitore del Premio Strega e bestseller internazionale.
La serie in otto episodi diretta da Joe
Wright (L’ora più buia, Espiazione, Orgoglio e
Pregiudizio) racconta la nascita del fascismo in Italia e l'ascesa al
potere di Benito Mussolini, interpretato da Luca Marinelli.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare il
regista Joe Wright; i
produttori Nils Hartmann,
Executive Vice President Sky Studios per l’Italia, e Lorenzo Mieli per The Apartment
(una società di Fremantle); gli sceneggiatori Stefano Bises e Davide
Serino; Antonio Scurati, co-autore con Bises e Serino
del soggetto di serie e dei soggetti di puntata; i protagonisti Luca Marinelli, Francesco Russo, Barbara Chichiarelli, Benedetta Cimatti.
Ecco cosa ci hanno
raccontato in conferenza stampa:
Nils Hartmann: “C'è stato un prima e un dopo Gomorra nella
serialità italiana, oggi con M – Il
Figlio del Secolo siamo a un altro punto di svolta. Non si è mai visto
un progetto così ambizioso, un dramma storico così contemporaneo in tutto, oggi
molto necessario”.
Quale è stato il primo impulso per
produrre la serie?
Lorenzo Mieli: “Il primo impulso alla produzione della serie
è stato Antonio che mi ha fatto leggere il manoscritto di M. Il tema mi
interessava ma quando ho letto il suo romanzo storico mi sono reso conto che
lui aveva capito per primo che cos’era quello che tutti noi oggi chiamiamo ‘populismo’,
qual era la radice e chi fosse l’uomo che l’aveva inventato. Questo ha
innestato subito in me il desiderio e la volontà di provare a imbarcarmi in
questa avventura. Era il 2017. Da lì è iniziato un lavoro lunghissimo e febbrile.
Ho chiesto a Stefano e Davide, a Luca e a Joe, nel momento in cui li ho
coinvolti, di riuscire a fare una serie altrettanto pericolosa della materia
narrata. Da un lato bisognava essere emotivamente travolgenti, tanto da
rischiare di essere empatici, dall’altro bisognava ogni volta creare il
distanziamento razionale e intellettuale rispetto alla materia trattata. Questo
lavoro è passato di testimone dalla scrittura poi alla regia e all’interpretazione.
Tutti i livelli dell’opera sono tenuti insieme costantemente da questo doppio
binario: l’essere travolti e allo stesso tempo essere ogni volta spinti via e
distanziati. Il risultato finale mi ha sorpreso, anche se mi sorprendeva già
durante la lavorazione. È molto coerente col tema, non avevo mai visto un’opera
così, con una tale mostruosa abilità di racconto. Io amo affidare le serie a
registi che vengono dal cinema. La genialità di Joe Wright è stata quella di
portare tutto il suo cinema dentro quest’opera. Questa è la cosa più bella che
io abbia mai prodotto”.
Quale è stata la sfida più grande nel
dirigere la serie?
Joe Wright: “Il fatto che io sia inglese sicuramente ha
consentito una distanza importante. Non trovo ci sia una differenza culturale
così grande tra noi inglesi e gli italiani o altri paesi europei. La sfida più
grande è stata quella di trovare il tono giusto per questa serie. Era molto
importante non ritrarre Mussolini come un pagliaccio, prenderlo sul serio e
fare in modo che la serie comunque potesse intrattenere il pubblico. Il tono
naturalmente nel corso degli episodi cambia, si fa sempre più cupo e più serio.
Questa è stata la sfida più importante. E anche quanto riuscire ad avvicinarsi
alla figura di Mussolini e permettere a Luca di incarnarlo seducendo il
pubblico, così come Mussolini aveva sedotto non soltanto un’intera nazione ma
anche tanti capi di Stato stranieri, senza però mai perdere di vista quello che
è stato l’uomo e quello che ha commesso”.
Come hai costruito il personaggio del Duce?
Luca Marinelli: “Per costruire questo personaggio mi serviva
sicuramente dal punto di vista fisico di sentirmi più pesante, più presente. Banalmente
in una qualche maniera dovevo avvicinarmi fisicamente. Questo aiuta veramente,
ti trasforma non solo a livello fisico ma anche emotivo. Per me è stato
importantissimo oltre al piano fisico anche quello intellettuale ed emotivo che
era quello che mi spaventava di più perché, come ho detto tante volte, da
antifascista, il fatto di aver dovuto sospendere il giudizio per 7 mesi durante
il lavoro sul set, è stato per me devastante dal punto di vista umano. Fortunatamente
dal punto di vista artistico è stata una delle cose più belle che io abbia
fatto nella mia vita, soprattutto grazie alla guida di Joe e al lavoro che
abbiamo fatto tutti insieme perché siamo stati una squadra meravigliosa. Questo
dovermi necessariamente avvicinare è stato umanamente devastante e necessario
dal punto di vista artistico. Abbiamo pensato con Joe di togliere tutte quelle
definizioni come ad esempio ‘mostro’ che non fanno altro che giustificare una
posizione e allontanare questa figura, quasi metterlo su un altro pianeta. Invece
era un essere umano che coscientemente ha scelto di fare quello che ha fatto e
ha imboccato questa via criminale che ha portato il paese alla distruzione
totale. Mi emoziono molto guardando tutti noi nel trailer perché so il piano
umano che c’era dentro. Abbiamo toccato la parte più oscura di noi stessi. E questo,
da esseri umani, è qualcosa che segna molto. E denota un grandissimo coraggio
artistico di ognuno di noi e questa necessità che ha avuto Joe che è stato il
più coraggioso di tutti, dopo Antonio naturalmente, che ha pubblicato questo
libro pazzesco”.
Come è stato il processo di scrittura?
Stefano Bises: “Il primo passo è stato sposare il libro. Si apre
e si chiude con la voce di Mussolini. Noi abbiamo preso spunto da lì per creare
questo dialogo con lo spettatore. Questa intuizione già ti toglie dal period
drama classico. Poi c’erano degli elementi che hanno ispirato il tono. Questo primo
Mussolini è un perdente, uno sconfitto, un opportunista, meschino, vile,
bugiardo, e quello si prestava, per una tradizione nostra di racconto, a farne
a tratti un Alberto Sordi, un Tony Soprano. Questo tipo di trattamento era
funzionale a creare quasi una vicinanza, una comprensione. Via via che la serie
diventa più crudele, più cupa, nel momento in cui quest’uomo effettivamente
mette i propri vizi capitali al servizio di un potere feroce, si porta lo
spettatore a sentirsi male per aver avuto dei sentimenti di empatia per quel
perdente iniziale. Era un lavoro che ci ha caricato di una certa responsabilità
(anche se quando abbiamo iniziato a lavorare, il panorama era diverso) verso
Antonio e il romanzo ma anche verso la memoria storica del nostro paese che ci ha
spinto sempre a chiederci se stessimo facendo la cosa giusta. Un po’ di paure
ce le hanno tolte Nils e Lorenzo, e poi Joe e infine Luca che questa
responsabilità se la doveva proprio accollare. E ci hanno dato sostegno”.
Davide Serino: “C’è una responsabilità che abbiamo sentito
tutti e che cerchiamo di restituire allo spettatore a partire da quello sguardo
in macchina, perché poi il controcampo siamo tutti noi. È facile sottovalutare
il pericolo ogni volta, lo facciamo sempre, anche adesso. Quel pericolo nasce
da una paura che è totalmente umana però… Noi abbiamo cercato di tenere alto il
livello di guardia a partire dalla prima parte della serie in cui invece siamo
portati a sottovalutarlo. Poi però il finale della serie è la chiave che mostra
il populismo e le derive a cui porta. Averlo sottovalutato è la colpa più
grande che parla anche dell’oggi”.
Cosa ti ha sorpreso di questa
trasposizione? Che ruolo hai avuto?
Antonio Scurati: “La cosa che più mi ha sorpreso è che alla
fine io abbia avuto torto, cosa che accade molto di rado. Lo dico scherzando
per dire una cosa seria. Ho fiancheggiato dall’esterno la scrittura e qualche
volta la produzione. È stato per me intellettualmente appassionante e
avvincente partecipare da fiancheggiatore esterno alla scrittura di questa
serie con frequenti confronti, discussioni a tutto campo. Io sentivo la responsabilità
e ho molto dubitato a un certo punto, riguardo ad alcuni aspetti fondamentali,
cioè il tono, la ricerca del tono giusto che era fondamentale e decisiva per un
racconto del genere, e il fatto di evitare assolutamente di dipingere Mussolini
come un personaggio comico e inoltre mostrarlo in tutta la sua forza di
seduzione. Queste erano state tre stelle polari al contrario, da cui io mi ero
sforzato di tenermi lontano durante la scrittura del libro. Ho addirittura
cercato una forma letteraria nuova per evitare di generare nel lettore empatia
con il personaggio principale. Non lo volevo e mi sono proibito tutta una serie
di procedure romanzesche fondamentali. Non volevo che il lettore empatizzasse
con Mussolini, non volevo che venisse sedotto, volevo assolutamente evitare che
risultasse un personaggio da commedia perché convinto che il fascismo sia stata
una terribile tragedia e che continui a stendere la sua ombra tragica su di
noi. Confesso quindi che a un certo punto della scrittura del copione, di fronte
a questi aspetti di commedia, bilanciati da quelli di tragedia, io ho dubitato.
Il mio timore che si scivolasse troppo in quella direzione è stato più forte
dell’entusiasmo per la nuova direzione che ha preso. A un certo punto ho detto:
‘Su questa strada non vi seguo’. E però devo invece riconoscere alla fine che
era la strada giusta, che avevano ragione Stefano e Davide, date quelle
premesse artistiche, nell’andare fino in fondo. Avevano ragione e quando ho
visto il risultato sullo schermo, sono rimasto abbagliato e ammirato. E contento
che le mie preoccupazioni, i miei timori, magari abbiano creato qualche esitazione
in più ma non siano stati motivo di ostacolo. Voglio fermarmi sulla sfida
artistica. Si parla tanto di politica ma l’arte è politica quando è grande
arte, non viceversa. E questo è un grande copione, una grande regia, una grande
prova d’attore. Mi sono sforzato di pensare nella storia del cinema italiano
prove d’attore da mattatore che stiano al paio con questa, non ce ne sono
moltissime. A me è venuto in mente Gassman come qualità della prova d’attore. Mi
auguro che questa espressione d’eccellenza cinematografica e di scrittura della
creatività e del genio dell’arte italiana, con il contributo decisivo di Joe
Wright, possa andare nel mondo il più lontano possibile”.
Che reazione si aspetta dal pubblico? Gli italiani
sono pronti?
Antonio Scurati: “I miei dubbi erano quelli dell’autore di un
romanzo che aveva costruito alcuni espedienti narrativi per evitare certi
pericoli. Quando ho visto l’opera realizzata non ho avuto più nessun dubbio che
si trattasse di una potentissima e magnifica realizzazione artistica. Il tono è
stato miracolosamente trovato in un equilibrio difficilissimo tra il tragico e il
comico, il tragicomico è una delle cose più difficili da fare nell’arte e loro
ci sono riusciti. Credo che si debba aver fiducia nel pubblico. Non possiamo
continuare a pensare di trattare il pubblico come un eterno adolescente, a cui
si rivolgono la maggior parte dei prodotti cinematografici a livello globale. Bisogna
parlare a un pubblico ‘adulto’ e io sono convinto che questo linguaggio così
contemporaneo che racconta una storia di 100 anni fa, ma la racconta oggi,
arriverà forte e potente dove deve arrivare”.
Cosa ti ha lasciato nel profondo aver
indagato questa parte oscura dell’Italia e di noi?
Luca Marinelli: “La sensazione che ho avuto approcciando il
libro di Antonio: sono stato messo di fronte alla mia gigantesca ignoranza. Ognuno
di noi pensa di sapere ma in realtà sappiamo così poco. È importante non
pensare di avere sempre la risposta o che le cose siano semplici. Quello si
chiama populismo e l’ha inventato la persona di cui parliamo. Penso sia sano
conoscere i propri limiti e imparare, colmare le lacune. Spero che questo dia al pubblico la sensazione di essere
presenti, stare a guardare, analizzare, interpretare. Il fatto di osservare e
non farsi trascinare dai fuochi improvvisi e dai fomenti del momento è molto
importante. Questa serie mi ha lasciato dentro il fatto di voler essere
presente al mio presente e anche presente al mio passato perché è solo così che
possiamo comprendere quello che siamo e che stiamo vivendo e capire dove
andiamo e come possiamo andare nella direzione migliore”.
Come è servita alla narrazione la rottura
della quarta parete?
Joe Wright: “La rottura della quarta parete mi è sembrato
il modo più naturale di riprodurre cinematograficamente la struttura narrativa
del romanzo che è costruito come una specie di collage che comprende lettere,
telegrammi, articoli di giornale, scene di finzione, ecc… Io ho scelto di
adottare questa struttura in qualche modo simile, considerando la lezione di
Brecht, consapevole del rischio di quel grado così sottile di empatia che dovevo
suscitare nel pubblico per riuscire a fare in modo che venisse sedotto, per poi
fare quello che Brecht suggeriva, ovvero far mancare il terreno sotto ai piedi
al pubblico e spingerlo a riflettere e quasi a sentirsi in colpa, esercitare il
pensiero critico rispetto alla reazione che ha avuto. Mi è sembrato quindi opportuno
il dialogo diretto e la rottura della quarta parete. Vorrei aggiungere che non esiste la nazione, esiste l’immaginazione. L’idea
di nazione è un’invenzione moderna e il nazionalismo è sicuramente una delle
bandiere che vengono sventolate da tantissimi leader oggigiorno e sui quali si
combattono battaglie politiche come quella per promuovere la Brexit. Io non
credo nelle nazioni, credo nelle persone. Credo che ci accomunino molte più
cose di quelle che ci separano. Io sono un inglese e sono in Italia, non sono
un alieno. La differenza della lingua è un’inezia rispetto a tutte le
esperienze comuni in quanto essere umani. Questo film è l’invito a cercare
Mussolini in ciascuno di noi perché la bestia è presente in ognuno di noi. Era questo
lo scopo che abbiamo avuto nel realizzare questa serie, ci auguriamo che questo
sia il messaggio che possa passare. Come L’ora più buia non era un film su
Churchill ma era un film su una persona che arriva ad avere una crisi ed essere
avvolto nel dubbio, qui Mussolini diviene una metafora per il male che alberga
in ognuno di noi. C’è la Storia con la S maiuscola ma c’è anche il racconto che
invita ciascuno di noi a esaminare con grande attenzione la potenzialità che
abbiamo di elevarci e di dare il meglio di noi e non cedere a questi istinti
più bassi”.
Quale è stato il momento più cupo e
difficile durante la lavorazione, visto il tuo essere antifascista, in un
periodo in cui purtroppo il fascismo serpeggia più che mai?
Luca Marinelli: “Il momento in cui mi
sono visto per la prima volta nei panni di Mussolini è stato abbastanza
impressionante, un momento molto forte. Io sono antifascista e vengo da una
famiglia di antifascisti. Ho sentito di volermi prendere questa responsabilità di
un messaggio di antifascismo, e del mio fare i conti con la storia, cosa che
secondo me, noi come paese, non abbiamo mai veramente fatto, e quindi ho
sentito che questo progetto era per me molto importante. Ne ho parlato con mia nonna ed è stato un
momento difficile. È una figura molto
importante per me, soprattutto per avermi fatto crescere con dei valori
antifascisti. La presi alla lontana dicendo ‘stanno per fare una serie su
Mussolini’ e lei disse ‘E tu chi fai?’ E io le risposi ‘lui’. Ci furono cinque
secondi di silenzio, poi arrivò un fatidico ‘e perché?’ Per me fu
pesantissimo e molto doloroso perché sapevo il motivo per cui lo facevo, però in quel momento mi
sembrava che non valesse nulla di fronte a mia nonna. Poi quando feci vedere la
serie alla mia famiglia, alla fine di quella proiezione mia nonna mi disse ‘hai
fatto bene a prenderti questa responsabilità’. Mi tolse un peso enorme”.
“Guardando le facce degli altri interpreti del film, è devastante vedere
come lui abbia distrutto le vite di ognuna di queste persone con questa valanga
di violenza. Questo a posteriori è terribile da vedere ed è stato orrendo da
realizzare. Mi ricordo scene nelle quali era possibile che mi fomentassi anch’io
con lui e questo mi generava una profonda tristezza immediatamente successiva
però non potevo dare tristezza a quel momento quindi dovevo schiacciare qualcosa
in me stesso per continuare a pompare questo lato oscuro. Questo è stato un
procedimento molto doloroso. Mi hanno colpito in particolare le scene in
Parlamento dove anche lì non celava assolutamente nessuna delle sue mire. Noi abbiamo
ripreso i discorsi che lui ha fatto e anche articolare quelle parole, è stato
veramente spaventoso. Ogni volta che guardo Gaetano (Bruno, interprete di
Matteotti), penso che la figura di Giacomo Matteotti fosse fondamentale, la punta
di un iceberg di sangue. Una figura che dovremmo ricordare molto di più, come
fece la Segre in Parlamento che mi emozionò molto ricordando quest’uomo che da
solo fece tutto quello che era in suo potere fino a cadere sullo schienale e
pronunciare la frase: ‘io il mio discorso l’ho fatto, adesso preparate il mio discorso
funebre’. Una frase che mi devasta, una metafora del silenzio, delle parole che
non sono state dette, delle cose che non sono state fatte, della responsabilità
che tutti noi condividiamo. Mentre giravo ero sulla Terra e quella è forse la
cosa che mi ha fatto più male in assoluto, forse avrei voluto essere lanciato
su un altro pianeta. Abbiamo parlato della nostra storia e questa è secondo me
la cosa più dolorosa in assoluto. Non vedo l’ora che esca, sono curioso delle
reazioni che verranno, non sono preoccupato”.
Vi
aspettate una reazione politica?
Joe Wright: “Vedremo
se ci sarà. La mia paura è il silenzio perché sia il romanzo che la serie
offrono molti spunti di riflessione e molte sfaccettature e la destra odia
riflettere. Preferisce risposte semplici tipo: ‘facciamo grande l’Italia, è
colpa degli immigrati’ e soluzioni pronte all’uso che non facciano pensare ai
problemi”.
Luca Marinelli: “Mi
preoccupa molto il silenzio, anche perché se non se ne parla sembra quasi che
non esista. È importante portare questa serie ai ragazzi, affiancare questo
tipo di esperienza a quella scolastica, investire nell'istruzione e affrontare questi temi”.
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