di Silvia Sottile
Itaca. Il Ritorno (qui la nostra recensione) di Uberto Pasolini con Ralph Fiennes, Juliette Binoche, Charlie Plummer, Marwan Kenzari, Claudio Santamaria e Ángela Molina, è al cinema dal 30 gennaio, distribuito da 01 Distribution.
Alla Festa del Cinema di Roma abbiamo avuto il piacere
di partecipare alla conferenza stampa di presentazione. Ecco cosa ci hanno
raccontato il regista Uberto Pasolini e i protagonisti Ralph Fiennes e Juliette
Binoche:
Da
dove nasce questa voglia di rileggere l’Odissea in maniera così personale? Perché
riproporre oggi il ritorno di Ulisse?
Uberto Pasolini: “Sono
70 anni che non si vede una versione dell’Odissea per il cinema che racconti
Ulisse, Penelope, Telemaco, i Proci, Eumeo, in maniera speciale. Vi ricorderete
Kirk Douglas nel ’55 con Silvana Mangano. È 30 anni che sto provando a fare
questo film. Ci ho messo più io a fare questo film che Odisseo a vincere la
guerra, dormire con tutte le donne più belle del Mediterraneo e finalmente
tornare a casa. La passione per l’Odissea è una passione infantile ma più si
invecchia, più si rilegge l’Odissea, più ci si riconosce nell’emotività, nella
problematica, nella psicologia delle persone. Io non li chiamo neanche
personaggi, sono persone, perché i miti hanno una vita – in questo caso
millenaria – e in questi personaggi, in questi miti noi ci riconosciamo. Io mi
riconosco. Non eroe ma marito, padre fallito. Ritorni difficili a casa. Ho vissuto
a lungo lontano dalla mia famiglia perché il lavoro ti porta spesso lontano. Allo
stesso tempo il mondo che ci circonda è riflesso in continuazione in una
lettura approfondita di Omero. Non so perché gli autori cinematografici non si
sono cimentati in questa sfida. Io l’ho fatto per arroganza (perché ci vuole
arroganza per confrontarsi con Omero), per la fortuna di avere Juliette, Ralph,
Claudio insieme a me (senza i quali non si poteva pensare di fare questa cosa)
e poi perché, come mi disse Dante Ferretti un paio d’anni fa, quando mi dava
dei consigli su come affrontare questa cosa, gli unici passi che vale la pena
fare sono quelli più lunghi della gamba”.
Avete
fatto delle ricerche per interpretare i vostri ruoli?
Ralph Fiennes: “Si
parla sempre della ricerca degli attori. Si possono leggere libri, sin possono
fare ricerche storiche… Sì, hanno un loro posto, ma spesso la ricerca è la tua
immaginazione. Leggi il testo e pensi a cosa significhino queste cose per te,
come è stato l’attraversamento. Credo che l’immaginazione emotiva sia
fondamentale. E poi dobbiamo porci delle domande. Che significa tornare a casa?
Cosa significa essere esausti fisicamente? Mi sono mai trovato in una
condizione del genere? Non ho fatto quella che viene comunemente chiamata
ricerca. Volevo studiare e indagare la sceneggiatura con Uberto e Juliette per
capire la verità delle motivazioni, capire quello che c’è sotto ogni secondo. A
quel punto, sul set, non serve la ricerca. Devi rispondere al regista e a
quello che ti danno gli altri attori. Sei aperto all’accidente del momento
quando giri. La preparazione significa essere pronti a quei momenti davanti
alla macchina da presa”.
Juliette Binoche: “Non ho avuto l’impressione di dover fare enormi ricerche. Innanzitutto perché si tratta di archetipi che sono presenti in noi. Essere prigioniera in quel castello in cima alla collina, ma naturalmente circondata da solitudine, dal senso di abbandono, sono sentimenti che si possono avere quando si viene lasciati soli, come questa donna che vuole proteggere il proprio figlio, che vuole resistere alle voglie di potere simboleggiato dai Proci. In fondo penso che mi è bastato pensare alla mia vita, alle situazioni a cui devo far fronte come donna sola che deve educare i propri figli. È stato molto più facile per entrare in contatto con quella Penelope che inizialmente mi ha fatto molta impressione, non avevo mai interpretato una Regina. Mi ero detta che sarebbe stato difficile però in fondo è stato più facile di quanto pensassi perché in fondo in noi troviamo tutti gli archetipi. Trovarmi di fronte ad attori come Ralph o Angela Molina, mi ha portato a sentirmi di fronte a persone vere, attraverso le parole scritte da Uberto, ispirato naturalmente da Omero, ma Uberto ha una posizione molto tangibile e ha realizzato qualcosa di molto vivo”.
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