di Valerio Brandi
Il film The Shrouds di David Cronenberg arriverà nelle sale italiane dal 3 aprile, grazie a Europictures in collaborazione con Adler Entertainment. L’Italia sarà il primo Paese del mondo a distribuirlo al cinema.
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2024, il film segna il ritorno sul grande
schermo del visionario cineasta canadese e vede protagoniste le star
internazionali Vincent Cassel,
Diane Kruger e Guy Pearce.
Al centro della vicenda Karsh (Vincent Cassel), un
uomo d'affari di spicco che, inconsolabile in seguito alla morte della moglie,
ha inventato una tecnologia rivoluzionaria e controversa che permette ai vivi
di monitorare i propri cari defunti avvolti nei sudari, il GraveTech. Una notte diverse tombe,
inclusa quella di sua moglie, vengono profanate. Karsh decide di mettersi sulle
tracce dei responsabili.
"In inglese, la parola ‘shroud’
designa il velo funerario, ma ha anche altri significati” -
ha dichiarato David Cronenberg - “Può
significare ‘coprire’ e ‘nascondere’. La maggior parte dei rituali funebri
riguarda proprio l’evitare la realtà della morte e ciò che accade a un corpo.
Direi che, nel nostro film, questa è un'inversione della normale funzione di un
sudario. Qui serve a rivelare, piuttosto che a celare. Ho scritto questo film
mentre affrontavo il dolore per la perdita di mia moglie, scomparsa sette anni
fa. Per me è stata un’esplorazione, perché non si trattava solo di un esercizio
tecnico, ma anche di un esercizio emotivo. In un certo senso, i sudari che il
mio protagonista ha inventato sono dispositivi cinematografici. Creano un
proprio cinema: un cinema post-morte, un cinema della decadenza. Prima di
scrivere la sceneggiatura, ero consapevole che i sudari avessero un aspetto
cinematografico, creando una sorta di strano ‘cinema della tomba’, un ‘cinema
del cimitero’. In ‘The Shrouds’, si suggerisce che Karsh comprenda che nella
sua creazione è coinvolta una tecnologia cinematografica, qualcosa di ricco e
complesso."
Regista di culto e Maestro assoluto di un cinema
mutante e visionario, David Cronenberg è considerato il padre del genere body
horror: da sempre audace esploratore di temi come la trasformazione fisica,
l’intersezione tra carne e tecnologia, il potere della mente e le mutazioni
corporee, ha diretto film memorabili come Videodrome, La zona morta, La Mosca, eXistenZ, Crash, La promessa
dell'assassino, Crimes of the Future, A History of Violence, Cosmopolis, A
Dangerous Method, Maps to the stars e tanti altri.
Con The Shrouds Cronenberg continua
la sua esplorazione dei confini
tra tecnologia, corpo e mente, offrendo una riflessione profonda
sul dolore e sulla memoria.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare in conferenza
stampa il regista David Cronenberg.
Ecco cosa ci ha raccontato il Maestro:
In
tempi di controllo tecnologico quasi assoluto delle menti e dei corpi, lei si
sente ancora un visionario o piuttosto un osservatore della realtà?
“Io non mi sono
mai considerato un visionario. Semplicemente sono un osservatore, uno che cerca
di capire la condizione umana che è un qualcosa che viviamo e sperimentiamo
tutti. Se alcune delle cose che creo possono sembrare visionarie, è solo per
caso. Non è una mia specifica intenzione, non ho mai mirato a essere un profeta”.
Questo
film sta suggerendo anche una maniera post-moderna, nell’epoca dell’intelligenza
artificiale, per elaborare il lutto?
“Proprio di
recente ho letto un articolo che faceva riferimento ad alcune persone che
attraverso l’utilizzo dell’AI, stanno creando sullo schermo degli avatar delle
persone care che hanno perso, avatar che hanno la stessa voce della persona
defunta, grazie ad alcune campionature della voce. Se questo poi sia un modo di
elaborare il lutto o la sofferenza, dipende dal singolo individuo. Lo capisco,
anche se non è il modo che io applicherei. Comunque è stato fatto questo,
utilizzare un avatar per non perdere il contatto, apparentemente, con la
persona che non c’è più”.
Lei
ha utilizzato l’espressione molto diffusa di ‘Villaggio Globale’ per indicare
che siamo tutti strettamente connessi in questa realtà. Con questo film vuole
dire che saremo connessi in futuro anche con l’altra vita, con la morte, dato
che c’è anche un elemento religioso, o comunque oltre la religione,
all’interno del film?
“In realtà io,
come sapete, sono ateo. E anche il protagonista del film, Karsh (che è
interpretato da Vincent Cassel), afferma a un certo punto del film di essere
ateo. Quindi non crediamo assolutamente in una vita dopo la morte. Quello che
io ho anche affermato in un film precedente a questo, ‘Crimes of the Future’, è
che il corpo è realtà; nel momento in cui il corpo muore, anche la realtà è
morta e non c’è più. I miei personaggi non credono in una vita dopo la morte perché
sono atei. Noi atei non crediamo che esista un’anima al di fuori del corpo. Trovo
però interessante, e potrebbe essere possibile oggi, creare attraverso l’AI e
un’interconnessione globale, una specie di aldilà artificiale, dove gli avatar dei defunti possano trascorrere il tempo
insieme, dialogare, conoscersi. Sarebbe una cosa assolutamente falsa, ma
esattamente come è falso il Paradiso che la religione ci dice esistere. È una
promessa che io considero una frode perché da ateo non credo nell’aldilà. E quindi
sarebbe semplicemente una versione tecnologica creata dall’intelligenza
artificiale. Il personaggio di Karsh è assolutamente disposto ad accettare il
fatto che la moglie non ci sia più, che sia morta. Lui vuole rimanere in
contatto con il corpo di lei che invece continua ad essere reale. Quindi vuole
un rapporto reale con il corpo della moglie defunta, non un falso rapporto come
quello dato dalla religione”.
Da
dove proviene l’idea del film? Cosa l’ha ispirata?
“Io sono stato
sposato per 43 anni. Ho perso mia moglie nel 2017. A quel punto pensavo che non
sarei mai stato più in grado di fare un film perché mia moglie era estremamente
presente nella mia vita, una parte integrante del mio cinema. Però poi ho
cominciato a sentire che dovevo in qualche maniera iniziare ad affrontare la
questione del lutto, della morte, dell’amore. E quindi ho cominciato a scrivere
questa sceneggiatura che prendeva spunto dalla morte di mia moglie. Però poi,
quando cominci a scrivere una sceneggiatura, a quel punto non è più realtà,
diventa finzione. Perché i personaggi che crei prendono forma, diventano vivi. E
sono loro che ti dettano chi sono e cosa vogliono fare. Quindi non c’è più la
realtà, sebbene appunto fosse un fatto vero. Non è più un’autobiografia ma una
storia di finzione”.
Il resto qui, nel video integrale dell’incontro
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