di Silvia Sottile
Fuggendo dall'Europa post-bellica nel 1947, l'architetto visionario ungherese László Toth (Adrien Brody) arriva in America con l'obiettivo di ricostruire la sua vita, il suo lavoro e il suo matrimonio con la moglie Erzsébet (Felicity Jones), dopo essere stati separati durante la guerra a causa di confini mutevoli, regimi oppressivi e la devastante esperienza dei campi di concentramento.
Da solo in un paese sconosciuto,
László si stabilisce in Pennsylvania, dove il ricco e influente industriale
Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce) riconosce il suo talento nell'arte di
costruire. Ma potere ed eredità hanno un prezzo molto alto...
Vincitore del Leone d'Argento alla Mostra
Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e candidato a 10 Premi
Oscar®, tra cui Miglior Film, The Brutalist di Brady Corbet
con protagonista Adrien Brody è al cinema dal 6 febbraio, distribuito da
Universal Pictures.
Brady Corbet realizza un’opera monumentale della
durata di 215 minuti, suddivisa in due parti con un intervallo di un quarto
d’ora. Il racconto spettacolare dell’epopea di László Toth ricalca la
maestosità e l’ambizione delle opere architettoniche progettate dal
protagonista. Il cui stile brutalista (costituito da blocchi di cemento)
rispecchia a sua volta il suo stato psichico: il dolore, la violenza e le umiliazioni subite, che si
porta dentro in maniera indelebile. Costretto a subirne ancora.
The Brutalist racconta
il falso mito dell’American Dream, il sogno di un nuovo inizio, l’illusione di
avere una seconda opportunità. Ma tutto questo ha un prezzo. L’ambizione e il
desiderio di innalzarsi, senza piegarsi a compromessi, sono destinati a
sbattere contro la crudeltà del potere economico, lasciando un senso di
incompiuto. La speranza e la libertà creativa si scontrano inevitabilmente con
la brutalità del capitalismo e di chi detiene il potere. Un sogno che diventa
un incubo. La frustrazione di ogni speranza.
Emblematica in tal senso l’immagine capovolta della
Statua della Libertà a simboleggiare metaforicamente un’accoglienza che si ferma solo fino a un
certo punto, perché il costo da pagare potrebbe essere troppo alto. Un sogno
americano alla rovescia. La sua sistematica decostruzione.
La straordinaria parabola di László Toth – che copre una
trentina d’anni – ha inizio proprio con l’arrivo in America, portandosi dietro
tutta la feroce e dolorosa devastazione dell’Olocausto. La prima parte (quella che getta le basi) è
assolutamente grandiosa, la seconda forse pecca di eccessiva lunghezza e sembra
troppo carica di conflitti, emozioni, elementi narrativi e visionari che a
tratti potrebbero affaticare lo spettatore.
Ma nell’insieme l’ambiziosissima, imperfetta e
imponente fatica di Corbet è puro Cinema. Con un commovente e catartico epilogo che tocca
l’anima. Siamo probabilmente di fronte a un capolavoro, un film monumentale e
particolarmente significativo, un’opera colossale a cui ci si deve avvicinare
sapendo chiaramente a cosa si va incontro ma decisamente imperdibile sul grande
schermo.
Gran parte del merito, oltre alla regia immaginifica
di Corbet, va indubbiamente alla straordinaria interpretazione di Adrien Brody
che riesce a restituire con profondità tutte le intense, dolorose e
contraddittorie emozioni del suo protagonista, un uomo distrutto dalla Shoah,
umiliato, violato nel corpo e nello spirito, dipendente da eroina, che però non
rinuncia all’amore per sua moglie e per la sua arte, fortemente deciso a dare
la sua personale visione.
E anche visivamente The Brutalist è
all’altezza delle sue grandi e smodate ambizioni. Un’epopea di tale portata non
poteva che essere realizzata in pellicola 35 mm VistaVision (in alcune sale selezionate viene proiettato in formato 70 mm), che dona una maggiore
definizione alle immagini, ovviamente in abbinamento con il magistrale lavoro
di fotografia e montaggio. La colonna sonora evocativa di Daniel Blumberg, al
contempo minimalista e solenne, completa l’opera, sottolineando in maniera
impeccabile i momenti cruciali.
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