Per la sua terza regia cinematografica Denzel Washington decide
di portare sul grande schermo l’adattamento di uno spettacolo teatrale del 1983
di August Wilson che proprio per questo dramma vinse il premio Pulitzer.
Barriere (Fences in originale), riproposto a
Broadway per un revival teatrale nel 2010 con protagonisti Washington e l’intensa
Viola Davis, vincitori del prestigioso Tony Award per le loro interpretazioni,
vede dunque gli stessi attori riprendere i rispettivi ruoli anche nella
versione cinematografica. Ed è indubbiamente la scelta migliore data l’ottima
intesa e la profonda conoscenza dei personaggi.
Il film racconta la storia di Troy Maxson (Denzel
Washington), netturbino di Pittsburgh in Pennsylvania negli anni ’50, che dopo
aver dovuto rinunciare alla sua passione, il baseball, perché nero, vive con
frustrazione le tensioni razziali, il senso di responsabilità nei confronti
della sua famiglia e soprattutto il difficile rapporto col figlio che sogna,
come lui un tempo, di diventare un campione di baseball.
Si tratta di un’opera molto intensa che regala un
interessante spaccato dell’America ancora razzista degli anni ’50 attraverso un
dramma familiare dovuto al difficile carattere del protagonista. Bravo Washington
come attore (riesce a risultare fortemente antipatico), anche se a nostro
avviso non da Oscar (oltretutto ne ha già due all’attivo) sebbene abbia ricevuto
la nomination, molto meno come regista (torneremo dopo su questo punto); ma
indubbiamente a tenere la scena è la straordinaria Viola Davis (nel ruolo della
moglie Rose) che regala un’interpretazione superlativa, carica di pathos e
intensità. Per noi l’Oscar come migliore
attrice non protagonista sarà meritatamente suo. L’unico appunto che possiamo
fare è che avrebbe dovuto concorrere come protagonista. Già lo scorso anno
Alicia Vikander vinse in supporting per non rischiare di perdere in leading.
Veniamo invece ai difetti della pellicola, che purtroppo
ci sono e ne inficiano pesantemente il risultato finale. La lunghezza
è eccessiva (138 minuti), il ritmo pesante ma soprattutto l’impostazione è troppo
teatrale ed eccessivamente fitta di dialoghi e monologhi serrati (noi abbiamo
visto la proiezione stampa in lingua originale e temiamo molto per la qualità
del doppiaggio italiano data la complessità). Sembra quasi di assistere ad uno
spettacolo sul palcoscenico, con la differenza che il cinema ha un linguaggio molto
diverso ma il regista nel proporre l’adattamento non ne ha tenuto completamente
conto. Dunque la pièce perde gran parte della sua potenza con questa
trasposizione inspiegabilmente pedissequa e non adatta al mezzo
cinematografico. La regia inoltre è pulita e lineare, ma forse troppo classica
e piatta. Tutto questo non aiuta a movimentare un film già pesante di suo che
oltretutto si svolge quasi esclusivamente nel cortile di casa Maxson, mentre l’uomo prova a
costruire un recinto (le barriere del titolo).
Barriere, dal 23
febbraio al cinema, è candidato a 4 premi Oscar, tra cui miglior film e miglior
sceneggiatura non originale per August Wilson, nonostante il drammaturgo sia
scomparso nel 2005 (a sottolineare come il testo sia stato riportato senza
grosse modifiche).
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