martedì 4 aprile 2023

"The Good Mothers" - Incontro stampa

 di Silvia Sottile



La nuova serie originale italiana The Good Mothers, diretta da Julian Jarrold ed Elisa Amoruso, ha vinto il “Berlinale Series Award” alla 73° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino.

The Good Mothers, che racconta la ‘ndrangheta interamente dal punto di vista delle donne che hanno osato sfidarla, debutterà il 5 aprile in Europa sulla piattaforma streaming con tutti i sei episodi disponibili al lancio. 

The Good Mothers è interpretata da Gaia Girace (L’amica geniale) nel ruolo di Denise Cosco, Valentina Bellè (Catch-22, I Medici) nei panni di Giuseppina Pesce, Barbara Chichiarelli (Suburra – La serie, Favolacce) in quelli di Anna Colace, Francesco Colella (ZeroZeroZero, Trust) in quelli di Carlo Cosco, Simona Distefano (Il Traditore) nel ruolo di Concetta Cacciola, Andrea Dodero (Non odiare) in quello di Carmine e con Micaela Ramazzotti (La pazza gioia, La prima cosa bella) nel ruolo di Lea Garofalo.

Basata su una storia vera, The Good Mothers ripercorre le vicende di Denise, figlia di Lea Garofalo, Maria Concetta Cacciola e Giuseppina Pesce, tre donne che osano contrapporsi alla ‘ndrangheta. Ad aiutarle la P.M. Anna Colace che, appena arrivata in Calabria, ha un’intuizione: per poter abbattere i clan della ‘ndrangheta, è necessario puntare alle donne. È una strategia che comporta grandi rischi: la ‘ndrangheta è nota e temuta per il suo pugno di ferro e il potere insidioso. 

The Good Mothers segue Denise, Giuseppina e Maria Concetta nel loro tentativo di affrancarsi dal potere criminale e collaborare con la giustizia. 

 


 

È una serie molto potente, dalla tematica forte e importante. Viene mostrato, da un punto di vista innovativo, quello femminile, il coraggio di queste donne che tradiscono la “famiglia” per ottenere la libertà. E l’intuizione di un magistrato donna, nel puntare sulle donne nella lotta alla ‘ndrangheta, facendone “il cavallo di troia che nessuno si aspetta”.

Ben costruita e ben interpretata, la serie vanta anche una vivida fotografia cupa e una colonna sonora significativa, che a tratti enfatizza e a tratti fa da contrasto, come ad esempio la dolce e materna ninna nanna, tema principale nonché canzone dei titoli di coda.

Girata in Calabria (anche con attori e professionisti calabresi), The Good Mothers offre un punto di vista inedito su un tema di cui pensiamo di sapere tutto.

Ne abbiamo parlato con i registi e il cast. Ecco cosa ci hanno raccontato nell’interessante incontro stampa:

 

Quanto vi ha ispirato il tema delle donne della ‘ndrangheta in cerca della propria libertà?

Julian Jarrold: “È stato proprio questo che ci ha affascinato. Poter raccontare la ‘ndrangheta dal punto di vista femminile. Sono molti i film (e le serie) che trattano questo argomento dal punto di vista maschile, oltretutto mostrando molta violenza. Qui invece il pericolo non si vede spesso in scena, si tratta più di una violenza nascosta. Inoltre emerge il punto di vista della p.m. che ha avuto questa intuizione di indagare sulle donne per allontanarle da quella vita di violenza, chiusura e costrizione, per portarle a conquistare la libertà. Anche se il pericolo di una vendetta era sempre presente”.

Elisa Amoruso: “Queste storie sono necessarie e vanno assolutamente raccontate. Era giusto cambiare prospettiva e dare voce e spazio a quelle che solitamente vengono considerate l’anello debole, non solo delle famiglie mafiose ma in generale della società”.

 


Come siete riuscite ad entrare nei vostri personaggi? Avete percepito la difficoltà di queste donne nel dover prendere la coraggiosa decisione di lottare?

Valentina Bellè: “Giuseppina in un certo senso è stata costretta a collaborare. Perché è stata arrestata e non ha visto i figli per circa 6 mesi. Si è resa conto che la famiglia nel frattempo ha fatto una sorta di lavaggio del cervello, in particolare alla figlia adolescente. La spinta per collaborare, come spesso accade, sono stati i figli. Voler evitare che le figlie femmine subissero quello che aveva subito lei”.

Gaia Girace: “Nel caso di Denise, la lotta contro la famiglia è scaturita dal desiderio di trovare giustizia per sua madre, Lea Garofalo. L’ha fatto per amore della madre. È stato molto particolare interpretare un personaggio realmente esistente. Purtroppo non ho avuto la possibilità di incontrare Denise ma spero di averle reso giustizia”.

Micaela Ramazzotti: "Lea Garofalo è stata una testimone di giustizia, ci ha messo la faccia, non si è piegata. Purtroppo non ce l'ha fatta ma ha trasmesso i suoi valori e il suo coraggio alla figlia. Spero che questa serie dia il coraggio di ribellarsi alla violenza di certi ambienti feroci".

Barbara Chichiarelli: “La p.m. ha questa grande intuizione di indagare le donne e portarle a collaborare con la giustizia per liberarsi da questa società arretrata, maschilista e criminale che le soggiogava. La maggior parte si erano sposate e avevano avuto figli a 15-16 anni, tutto deciso da altri. E i mariti spesso venivano arrestati, lasciandole sole a doversi occupare dei figli. Ha fatto leva sul desiderio che non accadesse lo stesso alle proprie figlie. Inoltre queste donne non sono importanti solo per la loro storia o per il contributo che hanno dato, ma soprattutto perché sono state e possono essere d'esempio per altre donne che vivono realtà simili. Per quanto si tratti di una società molto chiusa e patriarcale, c’è comunque l’innovazione tecnologica (ad esempio i cellulari) che consente alle donne di essere in contatto tra loro e con il mondo”.

 

E per quanto riguarda i personaggi maschili, così negativi?

Francesco Colella: “Non sono d’accordo con chi ritiene che non vadano giudicati. Io ho avuto grosse difficoltà a interpretare un personaggio del genere, così privo di sentimenti. A fine giornata, per non risentirne, dovevo liberarmi di lui. Ho cercato di evitare di creare identificazione nel mio personaggio, ma piuttosto repulsione. Credo molto nell’importanza dell’aspetto morale. Una delle cose che mi ha  fatto piacere di questa serie è che, a differenza di molte altre, non indugia nella spettacolarizzazione della violenza”.

 

Quale è stata la risposta della gente che vive in quei luoghi?

Julian Jarrold: “La Calabria è bellissima e siamo stati accolti molto bene. Però quando andavo in giro per trovare le location adatte, in alcuni luoghi mi è stato detto che era meglio non scendere dalla macchina per questioni di sicurezza. Non so se stessero esagerando. Non abbiamo girato nel paese di Lea Garofalo ma in uno vicino, più sicuro”.

Valentina Bellè: “Mentre giravamo in alcuni luoghi, certa gente sbuffava: “Ancora con questa favola della ‘ndrangheta? Non esiste”. Ecco, io ho fatto una riflessione su questo. Evidentemente per pensare una cosa del genere ci deve essere una grossa carenza dello Stato in quei luoghi”.

Francesco Colella: “Questo accade in quei luoghi dove c’è una stretta collusione tra malavita organizzata e istituzioni. Ma in realtà la ‘ndrangheta non è solo in Calabria: si è radicata nelle istituzioni e nell’economia italiane e mondiali”.

 


 

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