Transformers:
L'ultimo cavaliere, quinto episodio della serie campione
di incassi, serve a gettare le basi per i film a venire, volendo segnare una
nuova direzione per l'ormai celebre franchise, all'ultima regia
del veterano Michael Bay. Quasi impossibile, e forse superfluo,
raccontarne la trama, che in estrema sintesi vede il Cade Yeager di Mark Wahlberg
combattere al fianco degli Autobot, di un Lord inglese (Anthony Hopkins) e di
una professoressa di storia (Laura Haddock) contro il temibile Optimus Prime e
i suoi piani apocalittici per il Pianeta Terra.
Ci
troviamo di fronte a un mix di azione sfrenata e rocambolesca e di effetti
speciali da lasciare a bocca aperta, per un'esperienza visiva sicuramente
suggestiva, anche per chi non è un fan del genere o della serie. Incuriosisce
in questo quinto capitolo la mistura, che arriva a sfiorare il surreale, di
mitologia bretone (Re Artù, Merlino e i Cavalieri, che rievocano a loro volta
un'altra antica leggenda) e di vicende umane e robotiche “contemporanee”.
Gli
esiti sono ovviamente strampalati da un punto di vista narrativo, ma Michael
Bay se ne infischia della linearità e della coerenza e procede dritto
nell'imbastire il suo mega-spettacolo, sfornando scene di azione che
raggiungono vette forse mai toccate prima (rese ancora più eccitanti dall'Imax
3D). Certo, ci sono anche momenti di grande noia, dovuti soprattutto (ed è
questo il problema principale di questo capitolo) ad una durata impropria e
spropositata, che fa perdere interesse a una trama già di per sé un bel po'
raffazzonata e frammentaria. Ci si perde così fra un numero troppo elevato di
personaggi che poi vengono abbandonati per strada (vedasi la Izabella di
Isabela Moner) e fra dinamiche narrative complicate, poco interessanti e spesso
superflue, per poi risvegliarsi immediatamente quando in scena entra l'azione più
pura.
Transformers:
L'ultimo cavaliere va visto, infatti, per le straordinarie
coreografie dei combattimenti, sicuramente le più belle che Bay abbia finora
realizzato, a dimostrazione del fatto che il regista statunitense senta il
bisogno di fare sempre di più dei già scatenati capitoli precedenti. È per
questo che il suo cinema o lo si ama o lo si odia. Ma se ci si abbandona allo
spettacolo visivo, possibilmente anche evitando di ascoltare i dialoghi, e
sorvolando sugli eccessi di rallenty e sul montaggio impazzito, non si può che
rimanere inghiottiti dal suo eccitante tripudio di ritmo e dinamismo.
Dal
22 giugno al cinema.
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