di Silvia Sottile
Jafar Panahi, uno dei più grandi registi della storia del cinema iraniano e uno dei maggiori autori contemporanei, premiato in tutti i più importanti festival internazionali, con Un semplice incidente offre l’ennesima testimonianza di un’idea di cinema straordinariamente vitale, capace di coniugare impegno civile, sperimentazione formale e una libertà d’invenzione probabilmente senza pari.
Girato clandestinamente, senza il permesso ufficiale
delle autorità iraniane, il film conferma l’impegno di Panahi a difendere
l’integrità artistica e l’indipendenza creativa.
Un semplice incidente unisce
dramma e ironia, muovendosi sul sottile confine tra tragedia e grottesco.
L’ironia dissacrante, cifra distintiva del suo cinema, diventa lo strumento
attraverso cui Panahi mette in scena l’assurdità dei meccanismi di potere e la
fragilità dei giudizi morali.
Dopo aver vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2025, Un semplice
incidente è stato designato dalla Francia come candidato ufficiale agli Oscar 2026 per il Miglior
Film Internazionale. Dal 6 novembre al cinema, distribuito da Lucky Red, dopo
la presentazione in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma 2025.
Un ‘semplice incidente’ diventa la scintilla di una
catena di conseguenze sempre più travolgenti, in un crescendo di tensione tra
dramma e ironia. Un banale e sfortunato incidente stradale fa riemergere
profonde ferite dal passato e porta a fare i conti con il desiderio di
vendetta, con la propria morale e con l’ineluttabilità del destino. In un paese
in cui il regime politico ha compiuto (e compie) crimini disumani.
Un semplice incidente è un film molto potente, in cui la denuncia contro
il potere si fa durissima anche se in parte ‘nascosta’ in una trama gialla, scegliendo a tratti la strada dell’ironia.
Il film si sviluppa come un’intensa e inaspettata dark comedy in cui pian piano emergono dettagli di un drammatico
e doloroso passato, naturalmente con importanti risvolti nel presente e nel
futuro. Si aggiungono via via vari personaggi con le loro storie e le loro motivazioni
per avercela con i carnefici del regime e desiderare vendetta. Ed è qui che dopo una serie di rocamboleschi eventi e strazianti confronti, si gioca una delicata e tesissima partita con
la propria coscienza. Vendetta o perdono? È possibile fermare questa spirale di violenza che genera altra violenza? Fino a un finale indimenticabile che fa parecchio riflettere.
Un semplice incidente è un film potente, intenso, doloroso e toccante, di
profonda umanità.
Ce lo ha confermato con le
sue stesse parole il regista Jafar Panahi che abbiamo avuto il piacere di
incontrare in conferenza stampa:
Nonostante l’impatto dei carnefici del regime sulle
vittime sia devastante, alla fine prevale l’umanità. Cosa
ci vuole dire con questa scelta?
“In realtà il tema della
vendetta e del perdono non è la parte più profonda di questo film. È solo la
parte superficiale, funzionale a portare avanti la storia del film. Il mio
obiettivo è oltre la questione di perdono o vendetta. Il tema che volevo
trattare nel film è: nel futuro, questo circolo vizioso di violenza che genera
violenza, si fermerà oppure no? La mia intenzione è che quando uscite dal
cinema, alla fine del film, voi continuiate a pensare e pensare a questo film”.
Quando ha vinto la Palma d’Oro a Cannes, lei è
rimasto paralizzato. Che emozioni ha provato?
“È una storia lunga. La sera
prima mi aveva chiamato un amico dal carcere, dicendomi che le parole che avevo
usato per presentare il film gli avevano dato speranza. Ha aggiunto che se
avessi vinto, loro avrebbero festeggiato. Era come un tifoso di calcio. Dopo quella
telefonata non sono riuscito a dormire la notte. Solo alle 16 ci è arrivata la
notizia che eravamo invitati alla cerimonia di chiusura e di premiazione. Sono uscito
con mia figlia per comprarle un vestito di corsa, io ho solo preso gli occhiali
e sono andato così com’ero. Per tutta la durata della cerimonia ho pensato a
quello che mi aveva detto il mio amico detenuto. Sentivo una grande
responsabilità sulle spalle. E quando ho sentito il mio nome, finalmente mi
sono sentito liberato e finalmente mi sono messo comodo su quella sedia. A un
certo punto mi sono accorto che tutti erano in piedi e applaudivano. Ero l’unico
seduto. Dopo la cerimonia di premiazione, ce n’è stata un’altra. È stata una
giornata molto lunga. Solo alla fine della serata mi sono accorto che gli occhiali
che portavo erano quelli di mia moglie”.
Questo film e il suo intero percorso artistico e
umano dimostrano che fermare un cineasta è impossibile. Bisogna sempre trovare
un modo.
“Si possono sempre trovare
migliaia di motivi per fermarsi e non realizzare film ma secondo me invece basta
una motivazione per realizzarli. Di fronte a queste migliaia di problemi che ti
vogliono fermare, è importante trovare una soluzione per portare avanti il film.
Molti studenti di cinema venivano da me e si lamentavano, dicevano che la
situazione in Iran è complicatissima, che non si possono fare film. Vedere che
io e altri riuscivamo a fare film, li incoraggiava a cercare soluzioni. Fortunatamente
oggi moltissimi dei migliori film iraniani si stanno realizzando in questa
situazione”.



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