sabato 3 febbraio 2024

"Povere Creature!" - Incontro stampa con Willem Dafoe

 di Silvia Sottile


Povere Creature! di Yorgos Lanthimos (qui la nostra recensione), folgorante favola gotica esistenzialista sull’emancipazione e l'autodeterminazione femminile (soprattutto attraverso la sessualità), con protagonista una strepitosa Emma Stone, Leone d’Oro a Venezia e candidato a 11 premi Oscar, è nelle nostre sale dal 25 gennaio con The Walt Disney Company Italia.

Abbiamo avuto il piacere di incontrare in conferenza stampa Willem Dafoe che interpreta lo scienziato Dr. Godwin Baxter, colui che dà vita – nel vero senso della parola – alla ‘creatura’ Bella Baxter, una novella Frankenstein.

Ecco cosa ci ha raccontato:

 

Sembra che lei abbia un destino con gli dei e con i mostri, dal Gesù tormentato de L’ultima tentazione di Cristo a questo Dio sfigurato come il mostro di Frankenstein. Vede delle similitudini tra questi personaggi?

Niente affatto. Sono entrambi profondamente condizionati dalle circostanze in cui si trovano, stiamo parlando di Dio e Godwin… entrambi personaggi simpatici ma la similitudine si ferma qua. Almeno io li vedo simpatici, ma sono anche molto soli”.

Lei ha collaborato con autori del calibro di William Friedkin, David Lynch, David Cronenberg, Lars von Trier, tutti autori con delle visioni uniche. Yorgos Lanthimos è uno di questi secondo lei? Come si è immerso nel suo mondo?

Assolutamente sì. I registi per me sono molto importanti perché come attore è fondamentale mettersi nelle mani di una persona che abbia una visione forte. Mi piace molto, appunto, avere a che fare con qualcuno che abbia una visione molto chiara, che te la spiega e poi tu ti muovi verso quella visione cercando di farla tua, di abitarla. Ed è questo che mi piace nel rapporto tra regista e attore. Non deve neanche essere necessariamente qualcosa che io capisco immediatamente, ma deve essere un qualcosa che mi viene presentato e verso il quale io mi muovo, cercando di prenderlo e trasformarlo per poter poi dare vita (una vita interiore) al personaggio a cui sto cercando di dare corpo”.

Lei è nato in una famiglia di medici. Quanto è stato importante questo suo background nella costruzione del personaggio?

Forse così importante non lo è stato, non ha avuto tutta questa influenza. Ma io sono cresciuto in continuo contatto con gli strumenti chirurgici perché spesso accompagnavo mio padre quando faceva il giro di visite nella sua clinica. Quando ero adolescente, negli anni della mia formazione, della mia crescita, sono stato quindi molto spesso in mezzo ai laboratori, alla medicina, alla malattia, ai tentativi di curarsi e di tornare sani. Il fatto che in questo film interpreti uno scienziato, sicuramente sin dai primi momenti ha creato un particolare legame per me con questo film. Se ci si pensa, per la stragrande maggioranza delle persone l’idea di stare male o di doversi recare in ospedale è qualcosa che fa estremamente paura, invece per me è legato a una specie di ritorno in famiglia, quindi c’è un senso di fiducia”.

Vede in questo personaggio anche qualcosa di mostruoso? È uno scienziato che gioca con la vita e con la morte e che genera un altro ‘Mostro’. Bella è una sua creazione…

Ovviamente questa storia prende in prestito a piene mani dal mito di Frankenstein ma c’è una grandissima differenza tra queste due storie perché in Frankenstein il mostro che lui crea è qualcosa che alla fine gli suscita repulsione, mentre nel mio caso la creatura che è venuta fuori è una creatura di cui il mio personaggio quasi si innamora. Fondamentalmente a questa creatura lui sta dando una seconda chance. E dandola a lei, la sta dando anche a se stesso. Il mio personaggio crede profondamente nella scienza e crede che questo possa essere un altro modo per poter avere lui stesso una seconda vita. È vero, la sensazione che si prova è che sia qualcosa di non ortodosso e assolutamente non etico ma lui la vede come qualcosa di generoso, di positivo, di entusiasmante”.

Nel film si vedono gli uomini in difficoltà nei confronti delle donne, cosa pensa possa salvarli?

Con tantissimo umorismo, la rappresentazione che viene fornita degli uomini in questo film è che sono troppo oppressivi, opprimono moltissimo le donne. Nel vedere il film sono sicuro che molti uomini si riconoscono in alcuni dei personaggi che vengono rappresentati. Viene mostrata chiaramente la capacità di resistenza delle donne da un punto di vista sessuale, molto più di quanto sia la capacità di resistenza degli uomini e questa probabilmente è una delle ragioni per cui gli uomini hanno fatto di tutto per tenere le donne sottomesse per così tanto tempo. D’altra parte siamo in un’era in cui ci sono grandissimi cambiamenti. È vero che il pendolo oscilla continuamente ma siamo ormai in un momento in cui c’è un turbinio, un cambio di posizione rispetto a quelle che erano una volta le posizioni delle donne nel rapporto con gli uomini. Onestamente non so neanche dirvi se vent’anni fa questo film sarebbe stato accolto come è stato accolto oggi. Probabilmente no. Non saprei assolutamente cosa possa salvare gli uomini, io già faccio una gran fatica a tentare di salvare me stesso. Però voglio aggiungere che questo film esprime quella che è una liberazione personale attiva, qualcosa che noi vediamo attraverso gli occhi una donna”.

 



Questo film è attraversato da un umanesimo profondo ma anche da un coraggio nella narrazione. Questi sono due aspetti che lei trova ancora spesso? Col cambio di produzioni e la presenza sempre maggiore delle piattaforme, lei trova che ci siano più racconti convenzionali o c’è sempre spazio per questo tipo di cineasti?

“Non sono assolutamente un’autorità in materia, quindi non sarei in grado di rispondere a questa domanda. È vero che opero in questo settore da tantissimo tempo ma è qualcosa che io ho sempre visto e considerato solo dal mio punto di vista. Peraltro quest’anno sono usciti numerosi bei film, alcuni dei quali sono stati finanziati anche dalle varie piattaforme di streaming. D’altra parte io sono un fervido sostenitore della visione di un film nelle sale cinematografiche. Ma non per la dimensione dello schermo in quanto tale, piuttosto per il fatto che l’impegno che una persona assume nel momento in cui decide di uscire, di andare in un luogo neutrale e condividere la visione di un film con dei perfetti sconosciuti, degli estranei, è qualcosa che io trovo ancora molto importante”.

Quanto ha faticato con il trucco?

“L’ho fatto prima e lo rifarò molto probabilmente anche in futuro. È un fantastico strumento perché la possibilità di lavorare con una maschera sul viso ti consente, mentre viene applicata (e richiede magari tre ore), di guardarti nello specchio e vedere te stesso svanire mentre emerge qualcun altro. È uno strumento meraviglioso perché ti offre lo spazio in cui puoi provare e sentire altri sentimenti, altri modi di essere. È il cuore del ‘fare finta’, essere qualcun altro. È un qualcosa di comodo? Niente affatto. Ne vale la pena? Assolutamente sì”.

Vista la galleria dei suoi personaggi, c’è un sogno, una sfida, un progetto,  che manca e che vorrebbe affrontare?

“Ci sono sempre nuovi progetti ma i progetti riguardano le persone, i posti, i luoghi, le proposte. Quando qualcuno mi chiede ‘c’è un ruolo che vorresti interpretare?’, io sì, ho tutta una serie di desideri ma poi questi desideri in un certo senso svaniscono perché fondamentalmente quello che mi piace, dove do il meglio di me, è quando mi trovo ad avere a che fare con delle persone e da questo stare insieme emerge quello che stai cercando. È proprio il processo di creazione e di ricerca del personaggio che è di gran lunga migliore di avere una preferenza specifica, perché in quel caso è già formato e quindi lì c’è un’idea molto forte di narcisismo, mentre la bellezza sta proprio nel crearlo, nel tirarlo fuori il personaggio. Perché se da una parte siamo sempre noi, sei sempre te stesso (non è che svanisci completamente), però al contempo è come se ti mettessi un po’ da parte e riuscissi a interpretare qualcuno che non sei tu, una vita che non è la tua ma è di qualcun altro”.

Come è stato il rapporto sul set con Emma Stone? Ci sono molte scene fisiche, c’era anche improvvisazione? Come vi ha diretto Lanthimos?

“Lanthimos è un regista che ha la capacità di creare un mondo. Lui ha creato questo fantastico mondo nel quale noi siamo entrati. Il testo è molto forte, quindi lui ti prepara questo mondo e tu poi ci entri. Lui non ti dà indicazioni di regia. Ti osserva, guarda quello che fai e poi apporta i necessari aggiustamenti. Perché ha già fatto molto lavoro, si è impegnato nel creare questo mondo. Sta poi a te entrarci, abitarlo e realizzarlo. Lanthimos è una persona molto riservata, parla poco, in pratica ti dà indicazioni e ti dirige stuzzicandoti, ti spinge in questo modo a recitare. Per quanto riguarda Emma, lei è fantastica, eccezionale. In realtà è tutto incentrato intorno a lei, girava tutto intorno a lei. Emma e Lanthimos hanno un rapporto speciale, di grandissima vicinanza. Ormai lei per lui è praticamente una musa. E quindi è stato bellissimo vedere questo rapporto ed essere con lei sul set. Praticamente noi eravamo sul set per dare sostegno e appoggio a lei. Ed è bellissimo lavorare con Emma perché non ha assolutamente nessun atteggiamento da diva, è una persona molto flessibile, di grandissimo talento, quindi è stato un set molto felice. Siamo stati molto bene”.

Ha appena ricevuto la sua stella sulla Hollywood Walk of Fame. Cosa rappresenta per lei? L’ha vissuta con semplicità, con orgoglio? Cosa significa star lì in mezzo a tanti mostri sacri? Un piccolo viaggio emotivo e sentimentale intorno a questo riconoscimento…

È stata una bellissima cerimonia perché si sono presentati degli amici, dei registi con i quali ho lavorato. Hanno partecipato Pedro Pascal, col quale avevo lavorato come attore, Patricia Arquette, con la quale avevo lavorato come regista, che hanno tenuto dei discorsi bellissimi, meravigliosi, e veramente mi sono sentito parte di una comunità: una sensazione che non provi sempre, anzi, non la provi spesso, soprattutto come attore perché sei abituato a partecipare a produzioni internazionali, produzioni nazionali, grandi produzioni, produzioni a piccolo budget… e quindi non hai una comunità specifica alla quale appartieni. In questo caso invece è stato così. Il fatto di avere una stella sulla Walk of Fame è qualcosa che viene universalmente riconosciuto come una gratifica, un riconoscimento estremamente importante. Devo dirvi che è anche difficile accettare l’idea che quella mattonella mi sopravvivrà”.

2 commenti:

  1. Bellissima intervista Silvia e anche bella lunga , hai fatto davvero una bella chiaccherata con lui, chissà che emozione anche per te ! :-)

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