mercoledì 12 gennaio 2022

"E' andato tutto bene" - Intervista a François Ozon

 di Silvia Sottile


È andato tutto bene è un film di François Ozon con Sophie Marceau, André Dussollier, Hanna Schygulla, Charlotte Rampling. Sarà nelle nostre sale dal 13 gennaio con Academy Two. È stato presentato in concorso al Festival di Cannes.

André ha 85 anni ed è stato un cattivo padre. Ma è anche un uomo carismatico, dalla vita sentimentale brillante e burrascosa, curioso di tutto, un profondo amante della vita. Quando si ammala, la figlia Emmanuèle si precipita ad aiutarlo, ma André le fa un’ultima, difficile richiesta. Come può una figlia dire no al proprio padre? 

 

INTERVISTA CON FRANÇOIS OZON


Come ha incontrato Emmanuèle Bernheim?
Ho incontrato Emmanuèle nel 2000, tramite Dominique Besnehard, che all’epoca era il mio agente.
Avevo girato i primi quindici minuti di Sotto la sabbia e le riprese erano ferme per problemi produttivi e finanziari. Non eravamo convinti né della sceneggiatura né delle scene girate.
Dominique mi suggerì di incontrare una scrittrice che non conoscevo Emmanuèle Bernheim, per una ristesura della sceneggiatura. Pensava che sarebbe stata la persona giusta e aveva ragione: si creò subito una sintonia tra di noi e in seguito diventammo amici.
Avevamo gusti simili per quanto riguardava i film, gli attori e la loro fisicità e mi innamorai del suo stile di scrittura molto fisico, “ridotto all’ osso” per usare la sua espressione, uno stile che era simile a quello usato per scrivere le sceneggiature.


Quale è stata la sua reazione quando ha letto È andato tutto bene?
Mi ha inviato la bozza di stampa e mi sono commosso nello scoprire e nel condividere la sua esperienza con suo padre. Ho amato il ritmo, il tono, l’accelerazione finale, la suspense che lo rende quasi un romanzo giallo e l’ambiguo e ambivalente sollievo delle due sorelle per aver compiuto la loro “missione”.
Emmanuèle mi chiese se fossi interessato ad adattare il libro per il cinema. Ero sicuro che sarebbe potuto diventare un bellissimo film ma era una storia talmente sua che in quel momento particolare della mia vita, non riuscivo a vedere come avrei potuto farla diventare mia. Diversi registi mostrarono interesse per il libro e ci furono svariate offerte per i diritti. Lei mi tenne informato fino alla proposta di Alain Cavalier che sfortunatamente non fu in grado di realizzare il film perché Emmanuèle si ammalò di cancro. Cavalier riuscì comunque a tirare fuori da quell’esperienza nel 2019 un bellissimo documentario, Living and Knowing You Are Alive (Être vivant et le savoir).


Che cosa l’ha spinta ad adattarlo adesso?
La morte di Emmanuèle, la sua assenza, mi hanno fatto desiderare di essere ancora con lei. E forse anche, a livello personale, mi sono sentito pronto a tuffarmi nella sua storia. Mi è successo spesso con i libri che ho adattato che avessi bisogno di tempo per lasciarli maturare, per scoprire come farli miei. E volevo lavorare con Sophie Marceau. Ho pensato a lei per diversi miei film e ci siamo incrociati spesso ma non siamo mai venuti a capo di nulla. Intuitivamente sentivo che questo era finalmente il momento giusto, il progetto giusto. Così le ho mandato il libro di Emmanuèle di cui lei si è innamorata. E ho iniziato a scrivere la sceneggiatura.


Lei sta esplorando un problema sociale in questo film come ha fatto con Grazie a Dio ma il suo approccio questa volta è molto diverso. Qui sta usando un’angolazione più intima.

In Grazie a Dio sono partito da un’esperienza personale, ma il film si è subito allargato ad esplorare l’esperienza di un gruppo e l’aspetto politico dell’argomento. Qui, mi focalizzo sull’esperienza personale di Emmanuèle. Il film non diventa mai un dibattito sull’eutanasia. Ovviamente siamo tutti spinti a esplorare i nostri sentimenti e le nostre domande sulla morte ma quello che mi interessava sopra ogni altra cosa era la relazione fra il padre e le figlie.
Nel raccontare questa storia ho sentito il grande stress che Emmanuèle deve aver provato nell’affrontare una società che non ci permette di organizzare una morte desiderata in un modo legale e strutturato. Non credo che i figli o i cari della persona che desidera morire dovrebbero caricarsi di questo fardello con il senso di colpa che lo accompagna.


Come ha fatto ad adattare il libro?

Emmanuèle descrive le azioni in modo comportamentista. Il libro è pieno di dialoghi e discussioni quindi adattarlo è stato piuttosto semplice. Ma c’erano dei buchi nella storia, intuivo cosa potesse mancare ma non ne ero completamente sicuro. Così, proprio come ho fatto in Grazie a Dio, ho iniziato un’indagine personale, principalmente con i protagonisti della storia ancora in vita: il compagno di Emmanuèle, Serge Toubiana e la sorella Pascale Bernheim.


C’era un’assenza lampante nel libro di informazioni su Claude de Soria, la madre di Emmanuèle.

L’unico punto debole del libro. Di questa madre sappiamo solo che era molto malata e cronicamente depressa.
Dal film veniamo a sapere che è un’artista.
Sono venuto a saperlo piuttosto tardi, dopo la morte di Emmanuèle. Claude de Soria era una scultrice importante, conosciuta nel mondo dell’arte. Fui sorpreso di sapere che c’era un’altra artista in famiglia oltre ad Emmanuèle. Pascale Bernheim mi diede un libro su sua madre e mi mostrò le sue opere e un documentario dove la vediamo lavorare con il cemento. Claude de Soria non intellettualizza né concettualizza mai le sue opere. Le evoca concretamente in termini organici, materiali. Emmanuèle faceva la stessa cosa con la sua scrittura. Il suo primo libro si intitola Il coltello a serramanico (Le Cran d'arrêt). Non ho potuto fare a meno di notare un riferimento alle sculture di Claude de Soria che hanno l’aspetto di coltelli o lame. Questo tramandarsi di immagini nelle loro opere ha nutrito la mia immaginazione relativamente alla famiglia e ha reso ancora più interessante il rifiuto di Emmanuèle che in casa non ha neppure una delle opere di sua madre.


Un’altra storia nel libro: l’enigmatico G.M. che nel film si chiama Gérard.

Nel libro tutti i personaggi hanno un nome definito ad eccezione del misterioso G.M che era l’amante di André. Non è mai piaciuto alle sorelle e questo era il loro nome in codice per lui: G.M. ovvero “grosse merde”. Emmanuèle era preoccupata da come avrebbe reagito e per questo non lo ha nominato nel libro e ha anche cambiato il suo nome.
Emmanuèle e sua sorella erano convinte che fosse stato lui a denunciarle alla polizia ed erano furiose. Per colpa sua sarebbe stato impossibile per loro accompagnare il padre in Svizzera. Ero affascinato e divertito da questo personaggio che non ho mai incontrato. Immaginavo che Gérard amasse sinceramente André e volesse salvarlo. Nel film Emmanuèle difende Gérard affermando che si era rivolto alla polizia spinto dall’amore.


Quanto si è sentito libero di prendersi delle libertà rispetto alla realtà raccontata nel libro?
Naturalmente non era mio desiderio tradire Emmanuèle. Ma avevo bisogno di fare mia la storia.
Conoscevo Emmanuèle abbastanza bene da sapere che non si sarebbe offesa e non mi avrebbe censurato. Forse le sarebbe addirittura piaciuto il fatto che il personaggio di G.M. non fosse così malvagio in fondo. Era generosa nella sua scrittura con una tendenza ad ammorbidire la violenza e concentrarsi sull’umanità e sulla bellezza delle cose.
Emmanuèle e sua sorella Pascale sono molto vicine ma tra loro esiste anche un po’ di rivalità.
André chiese ad Emmanuèle di aiutarlo a morire, non a Pascale. Questo implica elementi sulla psicologia familiare che non erano espresse chiaramente nel libro e hanno solleticato la mia immaginazione. In verità Emmanuèle era sola quando ha ricevuto l’ultima telefonata dalla svizzera.
Ma volevo mettere insieme le due sorelle anche se Emmanuèle aveva tenuto la chiamata per se stessa.
Quello che André sta chiedendo a sua figlia potrebbe sembrare inaccettabile ma la sua simpatica malizia lo rende irresistibile. Certe persone hanno tanto carisma che è impossibile non amarle. Sono magari impertinenti e ciniche ma al tempo stesso così intelligenti, affascinanti e divertenti... André è una persona profondamente egoista ma è pieno di vita. Ha sposato Claude de Soria per attenersi alle convenzioni borghesi ma nonostante questo ha vissuto la sua vita come ha voluto, senza limitazioni, abbracciando la sua omosessualità. Ha fatto quello che desiderava.
Emmanuèle parlava spesso di suo padre, lo amava e lo ammirava. So che ridevano molto insieme. Lo percepiamo leggendo il libro ed era importante per me esprimerlo nel film.


È da tempo che lei desiderava lavorare con Sophie Marceau.
Sophie Marceau è un’attrice della mia generazione. In un certo senso sono cresciuto con lei e mi ha sempre interessato.
Mi è piaciuto filmarla ora che è poco più che cinquantenne. Questo film è una sorta di documentario su di lei allo stesso modo in cui Sotto la sabbia lo è stato su Charlotte Rampling. Non finge mai. È là, presente, accoglie le sensazioni ed esprime la propria sensibilità. In cucina con Serge, alla fine crolla e si rifugia fra le sue braccia. Non avevo scritto la scena in quel modo. Non volevo che piangesse, volevo risparmiare le sue emozioni per la scena della telefonata con la signora svizzera. Ma Sophie ha sentito la cosa diversamente e aveva ragione.


Ci parli della scelta di André Dussollier per interpretare “il vecchio incorreggibile”
Adoro André nei film di Alain Resnais. E in Il bel matrimonio di Rohmer. È rimasto subito entusiasta della storia e ha capito immediatamente il personaggio. Gli piaceva il suo umorismo impassibile, inglese e ha contribuito al suo ruolo con una deliziosa sfacciataggine. Gli ho mostrato dei filmati di André Bernheim in modo che potesse trarre ispirazione dalla sua personalità e dal suo modo di parlare. Il libro era molto preciso e abbiamo anche incontrato dei medici che ci hanno spiegato le diverse fasi delle conseguenze di un ictus per rendere l’interpretazione il più realistica possibile.
La precisione di André, la sua ossessione per la credibilità della sua interpretazione, il suo modo di parlare, sono tutti elementi che hanno contribuito a perfezionare il personaggio. Non aveva timori per quanto riguarda la sua immagine – ci ha permesso di radergli la testa e di deformare il suo volto con una protesi. Gli ho detto, “Quando il pubblico vede André per la prima volta deve essere scioccato e non credere che sei tu.” Volevo che la paralisi di André fosse pronunciata fin dall’inizio.
Man mano che si avvicina alla morte la paralisi diminuisce e la verve e la gioia di vivere di André ritornano.


Questa è la terza volta che lavora con Géraldine Pailhas.
Ho pensato a Géraldine immediatamente per il ruolo della sorella di Sophie. Nelle loro carriere ci sono paralleli che rendono facile immaginarle come sorelle. Entrambe hanno iniziato con Claude Pinoteau e hanno lavorato con Maurice Pialat quando erano giovani. È stato ancora una volta un vero piacere lavorare con Géraldine. Capisce sempre subito che cosa voglio.
Si è immersa completamente nel personaggio di Pascale, e lei e Sophie sono entrate in grande sintonia. Sono persone molto diverse ma sono andate d’accordissimo.
Charlotte Rampling era la scelta ovvia per il ruolo della loro madre. È un ruolo minore ma chiave; la sua presenza è molto importante. E volevo mettere in luce Claude de Soria, l’artista. Queste motivazioni hanno convinto Charlotte oltre al nostro attaccamento a Emmanuèle per Sotto la sabbia.


E Hanna Schygulla nel ruolo della signora svizzera?
L’ho incontrata anni fa al festival di Amburgo, dove mi ha consegnato il Premio Douglas Sirk! La ammiro come attrice e mi è piaceva moltissimo nei film di Fassbinder. Le ho chiesto in un primo momento se fosse in grado di riprodurre un accento svizzero-tedesco, ma il suo tentativo non era molto armonioso. E visto che mi piacevano il tono della sua voce e il suo morbido accento tedesco quando parla francese, le ho detto “Lascia stare l’accento svizzero-tedesco. Sarai una donna tedesca che lavora in Svizzera.”
Nel libro, Emmanuèle abbraccia la poliziotta. Ma io volevo che abbracciasse la signora svizzera, un bel personaggio, che trasuda un’umanità misteriosa.


Filmare un uomo costretto in un letto di ospedale deve presentare particolari problemi per un regista.
Certamente. Filmare un personaggio disteso in un letto d’ospedale implica una telecamera fissa e riprese ripetitive. Per fortuna c’erano parecchi cambiamenti di location. André Bernheim cambiò spesso ospedali e noi seguimmo quei cambiamenti. Iniziamo a Lariboisière, un ospedale pubblico, poi ci spostiamo in un ospedale più di lusso e infine approdiamo in una clinica privata. Questi cambiamenti ci hanno permesso di esplorare man mano diverse esperienze ospedaliere.
La scena della nuotata in Britannia è emblematica del suo desiderio di inserire vita nella storia ad ogni occasione.
Il film avrebbe potuto essere ambientato interamente in una stanza d’ospedale ma non volevo realizzare un morboso film medico a porte chiuse. André Bernheim era un uomo che stava decisamente dalla parte della vita. Il suo desiderio di morire nasce dal fatto che non può più vivere nel modo in cui ama vivere. Il film sta dalla parte della vita, come del resto il libro.
Ogni volta che potevo infondere alla storia un po’ di umorismo o ironia, l’ho fatto. È venuto naturale, con le situazioni e i personaggi. Ed era necessario. Quando giri un film che sta dalla parte della vita hai bisogno di ridere. Emmanuèle era molto divertente e amava ridere. E così anche suo padre a quanto pare. Condividevano una sorta di umorismo nero. Sono sicuro che le sarebbe piaciuto il fatto che ho filmato la scena che mi ha raccontato Pascale, in cui la Q cade dalla parola “coquille” nel ristorante della clinica, passando da ‘conchiglia’ a ‘coglione’.


Il film dà la sensazione di essere un diario, scandito da date.
Questa storia è un conto alla rovescia, quindi le date sono importanti. Soprattutto per André. È lui che vuole fissare una nuova data per la sua morte, dopo aver cancellato il primo appuntamento. La sua più grande paura è di perdere il senno e non possedere più l’autodeterminazione richiesta per decidere la propria morte. Le sue figlie non sarebbero più in grado di organizzare il viaggio se dovesse perdere la capacità di prendere la decisione consciamente. Man mano che ci si avvicina al giorno fatidico, sale la tensione: andrà fino in fondo con il suo piano? Cambierà idea?


I flashback conferiscono alla storia una dimensione temporale e illusoria.
Erano molto sorprendenti nel libro di Emmanuèle, lontani dal suo consueto stile di scrittura. Mi sono domandato davvero se dovessi conservarli e in tal caso come li avrei filmati? Volevo che fossero evocativi piuttosto che esplicativi. Reminiscenze della crudeltà di suo padre.


La fede ebraica viene evocata in particolare quando la cugina americana critica André per voler mettere fine alla sua vita dopo che tanti nella loro famiglia erano morti nei campi di concentramento.
Nella realtà, fu la sorella di André e non sua cugina a sopravvivere al campo di concentramento. Ho usato quel dettaglio per creare un episodio con sua cugina Simone. L’ho aggiunto, non era nel libro.
Mi sembrava importante capire la decisione di André di morire in relazione alla sua storia familiare.
Emmanuèle non mi parlò mai di questo.
André chiede di leggere il Kaddish al suo funerale per la bellezza della preghiera: lo chiede perché era un esteta, non perché fosse religioso.

Vuole aggiungere qualcosa, per concludere?
Sono contento di aver raccontato questa storia ma vorrei che Emmanuèle fosse ancora qui. Avrei desiderato tanto mostrarle il film. Era così franca, così onesta e colpiva sempre nel segno. Mi avrebbe dato la sua opinione che è sempre stata importante per me nel mio lavoro. Ciò che mi rende felice oggi è pensare che il film possa ispirare le persone a scoprire le opere di Claude de Soria e soprattutto a leggere o rileggere i libri di Emmanuèle.

 

Qui il trailer:


 

 

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