martedì 17 gennaio 2023

"Babylon" - Incontro stampa con Damien Chazelle

 di Silvia Sottile



Dal Premio Oscar Damien Chazelle, regista di La La Land e Whiplash, un racconto memorabile ambientato nella Los Angeles degli anni '20.

Babylon, una storia di ambizioni smisurate e di eccessi oltraggiosi, che ripercorre l'ascesa e la caduta di molteplici personaggi in un'epoca di sfrenata decadenza e depravazione nella sfavillante Hollywood. Con Brad Pitt, Margot Robbie e Diego Calva, e un cast corale che comprende Jovan Adepo, Li Jun Li e Jean Smart.

Dal 19 gennaio al cinema, distribuito da Eagle Pictures.

Abbiamo avuto il piacere di incontrare il regista Premio Oscar Damien Chazelle, a Roma per presentare alla stampa Babylon. Ed ecco cosa ci ha raccontato:

Cosa rappresenta per lei Babylon?

Intanto sono felice di essere a Roma e di portare il film a Roma perché questo film ha attinto dalle opere di Fellini come La Dolce Vita. È un film che offre una panoramica della società, sia il luogo di lavoro che come ci si diverte, quindi le feste. Era questo l’obiettivo che volevo realizzare. Andare a guardare questo periodo della storia di Hollywood attraverso la lente del divertimento e del lavoro sul set, come queste cose si susseguono e rappresentano il ciclo della società. Dare l’idea di quello che ci fosse sotto la superficie, le speranze, le tragedie, i sogni realizzati, i sogni infranti.

Sia La La Land che Babylon parlano di grandi passioni per il cinema, vissute però in maniera diversa. Lei si sente più vicino ai protagonisti di La La Land o a quelli di Babylon?

In ciascuno di questi personaggi ho tentato di mettere qualche aspetto che mi appartiene e che forse è stato anche il riflesso della mia esperienza di quel particolare momento, del periodo in ci scrivevo. Anche se non è mai stato un rapporto diretto. Ho cercato di mettere in ciascun personaggio in maniera indiretta qualche elemento personale ma mai direttamente. Era un modo per esprimere la mia essenza.

Lei guarda al cinema muto con meraviglia e amore. Poi il cinema è cambiato. Che cosa ha perso il nostro cinema rispetto all’epoca? La libertà? Il divertimento?

Quello che è andato perduto è sicuramente la libertà e in un certo senso è comprensibile. Stiamo parlando di una libertà che veniva goduta ed esercitata nei primissimi giorni del cinema. Questo lo riscontriamo nei film muti che vediamo anche rappresentati in Babylon. È qualcosa di intrinsecamente legato al fatto che Hollywood all’epoca, all’inizio, fosse qualcosa di completamente nuovo e non godesse del rispetto della società mainstream. Veniva considerata una forma d’arte, forse neanche quello. La società guardava a Los Angeles considerandola una città folle, dove questi pionieri si creavano le proprie regole e facevano quello che volevano. Quindi è stata una vera e propria esplosione di possibilità artistiche che è stato possibile sfruttare all’epoca. Era quasi inevitabile che questa fiamma a un certo punto si spegnesse, si affievolisse, venisse sostituita da qualcos’altro. Oggi noi abbiamo ancora molto da imparare da quel periodo, da quella Hollywood, perché invece oggi più che mai ci troviamo in un periodo a Hollywood in cui c’è tantissima paura, tantissimo conformismo, tantissimo moralismo puritano. Invece in questo periodo, in ogni era in realtà, quello che gli artisti dovrebbero fare è respingere tutto questo, opporsi, reagire e andare a rivendicare quella libertà che è stata soppressa e repressa. Questa storia lo racconta e lo racconta in maniera evolutiva perché io ho cominciato a scriverla 15 anni fa e in questi 15 anni Hollywood è cambiata, e anche tanto, e non in meglio purtroppo.

 

(foto di Silvia Sottile)
 

Una domanda sulla sceneggiatura. Il suo film appare diviso in due parti. La prima parte ha un certo ritmo, la seconda parte sembra quasi un film diverso. La sceneggiatura è sempre stata così?

Sì, in un certo senso credo che fosse dagli albori l’idea di realizzare un film che poi si sarebbe trasformato in un altro film in termini di tono, di genere, perfino di stile, perché volevo che questo riflettesse in qualche modo il luogo e il momento in cui la società si trovava. L’idea è stata quindi quella di passare dalla commedia alla tragedia e dividere il film in due metà. Sin da quando ho iniziato, ma man mano che procedevo nella scrittura mi sono reso conto che quello che avevamo in partenza, questo altissimo livello di energia, esuberanza, massima espressione della commedia, si dovesse poi trasformare in tragedia. Questo era importante ma mi è sembrato non fosse sufficiente, doveva toccare qualcosa che fosse più cruento, che sfiorasse il film horror per mostrare questa caduta, le due facce della stessa medaglia: l’apice del divertimento contrapposto alla caduta. Tutto questo passando dal tentativo di salire alle stelle, al cielo, invece poi alla caduta negli inferi.

Si aspettava che in America un suo film fosse accolto per la prima volta così tiepidamente? Cosa si aspetta dall’accoglienza qui da noi e nel resto d’Europa?

In realtà sapevo che certamente avrebbe suscitato determinate reazioni anche perché proprio l’idea alla base del film era quella di andare a dare fastidio, di accarezzare contro pelo le persone e le cose, di provocare, spingendo qualche pulsante, anche risentimento, fare arrabbiare o reagire in maniera negativa. Questa era la mia aspettativa: realizzare un film che fosse controcorrente. Questa è stata anche in parte una delle ragioni per cui c’è voluto tanto tempo per realizzarlo, trovare qualcuno che si convincesse a finanziarlo. Siamo stati fortunati che alla fine abbiamo trovato un posto e un luogo dove realizzarlo a Hollywood. Sono estremamente grato alla Paramount che pur sapendo che si sarebbe trattato di qualcosa di controverso, ha deciso di sostenerlo. Sono stati molto coraggiosi e non hanno mai esercitato pressioni su di me spingendomi a raggiungere dei compromessi. E stata una benedizione potermi sentire libero e protetto, non dover annacquare o filtrare determinate cose del film anche perché non avrei mai accettato quelle condizioni. Mi rendo conto che è uno shock ma è importante che lo fosse, che Hollywood venisse vista effettivamente come fosse, andando a scavare sotto la superficie, nel profondo,  perché ci sono fin troppi film oggi che parlano della vecchia Hollywood celebrandola ma guardando solo la patina, la facciata.

La mia speranza è che questo film possa trovare il suo pubblico. Che il film venga accolto, a prescindere da come venga accolto, che possa suscitare dibattito, discussione, risvegliare gli animi,  non semplicemente scivolare via in maniera silenziosa e tranquilla. L’idea era proprio questa, di fare rumore. E spero che il film trovi il suo pubblico. Anche perché io sono dell’opinione che il film, una volta che ho finito, non mi appartiene più, non è più mio. Una volta che è uscito e va verso il mondo, sia l’America o qualsiasi altro posto, diventa del pubblico, di chi lo guarda. Io ho fatto quello che sentivo di dover fare, ho portato questo film nel mondo e adesso lascio che sia il mondo a prenderlo e a giudicarlo. Io non sono d’accordo con chi cambia idea, fa il director’s cut, perché il film una volta finito non mi appartiene più, appartiene al mondo, alla storia, al pubblico. È come lasciar andare un figlio.

Perché ha pensato che la reiterazione dell’eccesso, la sgradevolezza in alcune situazioni, fosse la strada giusta per raggiungere il suo scopo?

Credo che sia importante cercare di mostrare quello che Hollywood è spesso fin troppo brava a nascondere. All’epoca il cinema non era rispettato come oggi, non godeva del prestigio di oggi, veniva visto come qualcosa di basso, volgare, sporco. Anche i film erano così per rivendicare quella reputazione di cui godeva il cinema. È insita nel titolo Babylon quest’idea di un qualcosa che nasceva dalla volgarità, dal peccato, dal vizio. E veniva fatto da persone viziose, peccaminose. Oltre a Babilonia venivano usati anche altri riferimenti biblici come Sodoma e Gomorra perché era qualcosa di completamente nuovo. Un’industria completamente nuova che cercava di rivendicare il suo status, un’industria creata da immigrati, criminali, persone ai margini della società, reietti, che vanno a costruire qualcosa nel mezzo del nulla, tirano su questa città. Tutti questi elementi spiegano quello che era il cinema, persone che fanno cose folli. Tra l’altro quello che vedete nel film, le cose più estreme, sono state un pochino attenuate perché se avessimo dovuto mostrare la realtà per quello che effettivamente era all’epoca, garantisco che il film non avrebbe mai potuto vedere l’uscita. Un qualcosa di estremo portato avanti da persone nate povere che si impegnano in questo campo e all’improvviso comincia ad affluire un fiume di denaro.

 

(foto di Silvia Sottile)
 

Questo film è ambientato ai tempi della rivoluzione fra cinema muto e cinema sonoro. Ora c’è un’altra rivoluzione che riguarda le piattaforme streaming. Secondo lei c’è un futuro per la sala?

Se vediamo molti film realizzati nel periodo degli anni ’50 ci rendiamo conto che contengono la paura che il cinema stia morendo e venga sostituito dalla televisione, però così non è stato perché il cinema ha continuato ad andare avanti. Forse è morto il sistema degli studios ma è stato sostituito da un nuovo sistema, in una nuova versione di questa sfida. Certo, è un’esistenza non facile ma sono ottimista: c’è un continuo ciclo di nascita e morte ma poi ritorna in una costante evoluzione. Questo è quello che ha fatto Hollywood e che continua a fare: Hollywood continua a cambiare, muore e rinasce. Anche perché si continua a dire da secoli che il cinema è morto o sta morendo. Nel 1899 anche i Fratelli Lumiere hanno detto che il cinema non aveva futuro  e invece così non è. Io conservo a casa una gigantografia di una copertina del ’53 con Marilyn Monroe dove si poneva la domanda: “Il cinema sta morendo?”. Il cinema non muore, è un continuo rinnovarsi, una continua evoluzione, un continuo rinascere.

Come ha lavorato con i protagonisti, in particolare con Margot Robbie? I riconoscimenti vinti (Oscar e Golden globe) hanno cambiato la tua vita? Se sì, come?

Questi premi non ho la sensazione che mi abbiano cambiato la vita a livello personale in maniera fondamentale ma sicuramente una cosa l’hanno modificata. Devo essere realista, non penso ci sarebbero stati studios disponibili a finanziare film tipo questo che ho appena fatto se io non avessi ricevuto qualcuno di quei premi. Quindi è stato qualcosa di bellissimo perché ti aiuta ad aprire molte porte e ne sono particolarmente grato.

Parlando invece di Margot Robbie, lei è un’attrice straordinaria, particolare, perché da una parte è una forza della natura, ha questa fame, è coraggiosa, è disposta ad andare fino in fondo. Lei paragona l’essere un attore a essere un animale. È come se in ogni ruolo che interpreta abitasse una bestia selvatica diversa. In questo film è stato molto utile. Però è anche una persona dalla grandissima disciplina, grande capacità ed esperienza tecnica in termini di performance: è capace di fare 12 take uno dietro l’altro e di piangere da un occhio solo. Ha quindi questo virtuosismo tecnico che combinato all’essere una forza della natura, in un certo senso selvaggia, è una cosa rarissima da trovare. Puoi trovare attori che sono più bravi nel virtuosismo tecnico e meno nell’espressione e nella libertà o viceversa. È stato bello e sorprendente. Con lei basta creare un ambiente in cui si sente al sicuro, sostenuta e supportata e poi ti dà tutto, ti dà l’anima. Abbiamo girato facendo take dopo take, magari improvvisando, testando delle cose, poi tornando alla sceneggiatura e non è facile trovare un’attrice che sia disposta a questo, facendo anche cose che sa che poi non funzionano.

Parlando nuovamente di sala, cosa ne pensa del 3D? Ci può essere una rinascita e un’evoluzione in tal senso?

Credo che il 3D possa essere estremamente interessante come molti degli strumenti e degli elementi che il cinema ha usato nel corso degli anni per fornire allo spettatore un’esperienza diversa da quella che si può fare a casa. Se pensiamo agli anni ’50 con l’avvento del cinemascope, del widescreen, sono tutte cose per convincere il pubblico a tornare in sala per godere un’esperienza diversa e non godibile altrove. Ci sono varie altre cose oltre al 3D, magari cose a cui non riusciamo neanche a pensare o immaginare oggi e che invece potrebbero arrivare, essere inventate e sviluppate, che possono dare un’esperienza diversa. Questo dipende anche dalla responsabilità dell’artista di utilizzare questi strumenti come semplici elementi tecnici o trucchi ma piuttosto come qualcosa che sia veramente una novità. L’abbiamo visto nel corso del tempo: tante cose nuove che sono uscite, si sono evolute, poi sono sparite perché non aggiungevano nulla all’esperienza da un punto di vista artistico, non aggiungevano valore, cosa che invece è stata data con l’avvento del suono, del colore o del cinemascope. Ovviamente anche il 3D può fare la differenza nelle mani di James Cameron che riesce a dargli anche quel valore estetico, magari meno nelle mani di qualcun altro. Quindi secondo me è importante pensare che il cinema si ingegni e cerchi di sviluppare un qualcosa che ti deve aiutare ad espandere le possibilità, come se tu fossi un pittore: è la tua tavolozza, quanti più colori puoi aggiungere, tanto più riesci a esprimerti. Esattamente come hanno fatto suono e colore all’epoca. Si tende a pensare che il cinema sia qualcosa di vecchio, invece se lo andiamo a paragonare a tutte le altre forme di arte, ci rendiamo conto che è qualcosa di estremamente nuovo, giovane, e che ancora non abbiamo esplorato e sfruttato tutte le possibilità e tutte le innovazioni che il cinema ci può dare.


 

 

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