lunedì 17 ottobre 2022

RoFF17 - "Django" in anteprima mondiale - Conferenza stampa

 di Silvia Sottile

 

L’attesa serie originale Sky e CANAL+ Django, in arrivo nel 2023, è stata presentata in anteprima mondiale alla 17^ Edizione della Festa del Cinema di Roma.

Django rilegge liberamente e in chiave contemporanea l’omonimo classico western di Sergio Corbucci.

Ecco cosa ci hanno raccontato nell’interessante conferenza stampa la regista Francesca Comencini, gli sceneggiatori Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, ed i protagonisti Matthias Schoenaerts e Noomi Rapace:

Francesca, che ruolo ha avuto il western nella tua formazione? Come hai lavorato per conciliare tradizione e modernità?

Francesca Comencini: “Io da ragazza ho amato i western degli anni ’70 perché erano dei film di rivolta, di ribellione. C’erano antieroi che erano sempre contro le forme di potere, refrattari, anarchici. Sia i western italiani che quelli americani hanno costruito un grande racconto, una favola nera per adulti in cui i registi sono stati in grado di parlare di quel tempo, dei conflitti e dello spirito di rivolta di quel periodo. Questo è quello che mi hanno trasmesso, ecco perché li ho amati molto e sono stati molto importanti per me, hanno avuto un ruolo nella mia formazione di persona, di ragazza ribelle. Cosa mi ha portato a fare Django e come mi sono rapportata alla tradizione? Noi sapevamo di avere un tradizione leggendaria e l'abbiamo rispettata, omaggiata e al tempo stesso abbiamo cercato di fare quello che hanno fatto loro, ovvero di parlare del nostro tempo: abbiamo cercato di usare questa cornice, questo sogno di cinema smisurato che è il western per parlare del nostro tempo, per dare un grande protagonismo a dei personaggi femminili, per raccontare una nuova tipologia di antieroe – anche qui il nostro Django è un antieroe come i suoi predecessori con forse delle crisi più intime, più legate a una sfera affettiva, qualcosa che ha a che fare con i codici della virilità oggi, raccontare una crisi – e abbiamo raccontato molto anche un mondo senza frontiere, un mondo pieno di differenze in cui ognuno è il diverso di qualcun altro, in cui c’è l’utopia che tutti e tutte siano accolti, in cui c’è chi ha paura di queste diversità e ne ha paura chiudendosi, in un antagonismo che qui è magnificamente incarnato in Noomi Rapace – un altro elemento di grande interesse per me è che l’antagonista è un personaggio femminile e abbiamo cercato di darle una profondità e diversi strati di complessità e non limitarci a farne la cattiva perché ci sembrato interessante anche questo personaggio di donna che diventa, quasi in un rovesciamento, la più feroce guardiana di un ordine patriarcale, cercando di capire cosa c’era dietro questo suo estremismo”.

 

 

L’antagonista femminile è un elemento di forte contemporaneità. Noomi, come hai costruito questo personaggio?

Noomi Rapace: “Francesca Comencini fin dal primo contatto mi ha detto cosa voleva esplorare con questo personaggio. quando ho sentito gli sceneggiatori parlare ho sentito che avevano aperto una porta in una possibilità di creare un personaggio che avesse una complessità molto rara e volevano quindi intraprendere un viaggio e mi hanno invitato a partecipare al viaggio con loro. Questo è stato chiaro dal primo contatto. Abbiamo cominciato ad approfondire il personaggio, come capire un personaggio che è motivato da un grande odio e con atti brutali e violenti e quindi ad un primo sguardo è soltanto una persona cattiva, il male, poi però si va in profondità e si capisce perché una persona può arrivare a quel punto di estremismo. L’ho trovato molto interessante perché diventa uno studio profondo della psiche di qualcuno e non soltanto interpretare il cattivo, quindi mi è piaciuto tantissimo mettere in vita questo personaggio e lavorare con tutti loro. È stato un processo di collaborazione”.

Qual è il messaggio dell’opera? Parlando di patriarcato, il cinema può formare i giovani a contrastare la violenza contro le donne?

Francesca Comencini: “Non c’è un messaggio, c’è il tentativo di esplorare, di raccontare bene, con i mezzi che abbiamo a disposizione, le contraddizioni del nostro tempo e dei personaggi meno visti,  più invisibili, affrontando le complessità. Il cinema può raccontare dei personaggi femminili forti, complessi, ricchi, autonomi, anche negativi, non per forza positivi, e cercare di creare una rappresentazione in cui il pubblico, sia maschile che femminile, possa incontrare dei personaggi femminili forti. Penso sia qualcosa di importante”.

 

 

È chiaro come vi siete rapportati con Corbucci. Vi siete rapportati anche con Tarantino, con quell’altro Django altrettanto iconico?

Maddalena Ravagli: “Sì, ci siamo rapportati anche con Tarantino. Anche lui, con i suoi stilemi tipici, fa una riflessione politica che parte dalla condizione reale della popolazione black alla fine della Guerra Civile Americana e mette in scena dei personaggi che rispecchiano delle condizioni ancora esistenti oggi e quindi in questo ancora potenzialmente universali”

Leonardo Fasoli: “Per noi Tarantino, come tutto il cinema western che abbiamo guardato come riferimenti visivi, per capire come erano stati fatti prima, è assolutamente necessario per capire come aveva svolto quel compito, quel lavoro straordinario. Il tentativo, rispetto al western italiano, era quello di cercare di trovare le chiavi per parlare attraverso un racconto che è una sorta di fiaba, di problemi che sentiamo vicini. Uno di questi è la contrapposizione molto forte tra identità e cultura minoritarie e chi avverte questo come una possibilità di apertura e di futuro e chi invece avverte questa apertura come una possibile minaccia e dunque si barrica dietro a una guerra perenne. Questo elemento tra chi va verso società che tendono ad aprirsi e invece chi ha paura dell’apertura e va verso società che vogliono chiudersi, ci sembrava un elemento molto contemporaneo che abbiamo cercato di rappresentare all’interno del western”.

La crisi dei personaggi rappresenta la contemporaneità. Matthias raccontaci il tuo personaggio che ha una crisi molto evidente, è un padre tormentato dai sensi di colpa, un padre che ha fallito. Come hai vissuto questo personaggio?

Matthias Schoenaerts: “Credo che il personaggio di Django, o meglio, il suo modo di pensare è ‘Come si continua a vivere quando si perde quasi tutto ciò che si ha di più caro?’. Poi questo è diventato ancora più pertinente oggi, considerata la situazione del mondo, ci sono molte persone che stanno soffrendo questo tipo di realtà. Il desiderio di Django è quello di riuscire a cogliere la sua ultima possibilità di esprimere l’amore nei confronti dell’unica persona che gli è rimasta e questo, come ha detto Francesca, è una crisi molto personale”.




Nessun commento:

Posta un commento