domenica 12 maggio 2019

#UnescoMovie 45 – La croce di fuoco (1948)

di Diletta Nicastro



Vincitore al Festival di Venezia 1948 del Premio internazionale per i suoi valori figurativi e drammatici e del Premio dell’OCIC “per essere il film più capace di contribuire alla rinascita dei valori umani di morale e di spiritualità”, La croce di fuoco (The fugitive) di John Ford è oggi un film quasi dimenticato. Interpretato da Henry Fonda e Dolores del Rio, tuttavia, questa pellicola segna un momento di svolta nella cinematografia hollywoodiana, che dopo i cali di introiti del secondo dopo guerra, decise di ampliarsi verso il mercato latino americano in notevole crescita.

Come Il principe delle volpi di Henry King (di cui abbiamo parlato qui un anno fa) è stato il primo film girato a Cinecittà dopo il conflitto mondiale, così La croce di fuoco è stato interamente ripreso in Messico, in questo caso per “contrattaccare il potere e il successo dell’industria cinematografica messicana nascente e mettere sotto contratto star messicane a salari molto alti affinché venissero a lavorare ad Hollywood” (cfr. Emilio Fernàndez in Hollywood, Dolores Tierney). 

Tra le location riconoscibili vi sono  Taxco de Alarcón, Cholula,  Cuernavaca e il sistema idrico dell’acquedotto di Padre Tembleque, entrato a far parte del Patrimonio dell’Umanità nel 2015. Ho scritto volutamente la parola ‘riconoscibili’ perché in realtà il film è ambientato in un luogo non luogo “che può trovarsi mille miglia a nord o a sud dell’equatore”, anche se è specificato chiaramente nel prologo che è stato girato in Messico.


Per capire queste strategie visive è bene partire dal principio.

Il film è tratto da un romanzo di Graham Greene (giallista inglese amatissimo da Hollywood in quel periodo. Tra i film tratti dai suoi romanzi si ricordano Il prigioniero del terrore, L’agente confidenziale, Il terzo uomo e Il nostro agente all’Avana), ed è ambientato in un Paese (evidentemente sudamericano), in cui il potere ha messo al bando la religione, perseguitando i sacerdoti (il fuggitivo del titolo originale è l’ultimo prete rimasto nel territorio, che tenta di nascondersi dall’esercito con l’aiuto della comunità). Non volendo creare problemi con il governo messicano (che tutto era tranne che contro i cristiani in quel momento), ma volendo rivivacizzare i rapporti di buon vicinato con il Messico ed enfatizzare l’apporto del cinema messicano alla pellicola (davvero determinante), si creò questo escamotage. Da sottolineare, inoltre, che questo escamotage era ancor più necessario, dal momento che il romanzo di Greene era basato sulla reale persecuzione attuata da Tomás Garrido Canabal, governatore di Tabasco, in Messico, dal 1920 al 1924 e ancora dal 1931 al 1934 “che perseguitò i cattolici, chiuse le chiese e uccise i sacerdoti o li obbligò a sposarsi” (cit.) e il generale (Pedro Armendáriz) era palesemente una figura a lui ispirata.


Solo una è la scena ambientata nei pressi del sistema idrico dell’acquedotto di Padre Tembleque, ma di grandissimo impatto visivo (come tutto il film, in cui la fotografia del messicano Gabriel Figueroa gioca continuamente con i chiaroscuri, le ombre e le luci) e cruciale nella storia, con il sacerdote che nega per tre volte di essere un sacerdote (richiamando San Pietro) ad un viandante (in realtà un informatore della polizia), interpretato da J. Carrol Naish. Credo che la scelta di mettere sullo sfondo di questo povero prete sparuto un’opera immensa voluta e progettata da un frate francescano non sia affatto casuale.

John Ford rimase sempre affezionato al risultato ottenuto con questa pellicola, tanto che nel 1968 dichiarò a Peter Bogdanovich per il suo volume John Ford pubblicato per la University of California Press, ed uscito in Italia con il titolo Il Cinema Secondo John Ford (Pratiche Editrice Parma, 1990): La croce di fuoco è venuto esattamente come volevo. Questo è il motivo per cui è uno dei miei film preferiti… per me era perfetto… I critici lo hanno attaccato ed evidentemente non ha avuto un grande successo di pubblico, ma io ero orgoglioso del mio lavoro”.

In effetti il film non ebbe il successo sperato, tanto che originariamente si era pensato di girarne due versioni, una di Hollywood in inglese ed una messicana direttamente in spagnolo (con un cast diverso) entrambe prodotte dalla RKO, tuttavia il progetto morì prima ancora di nascere. Questo in partenza era il motivo del grande coinvolgimento del regista Emilio Fernàndez, prolifico ed amato cineasta messicano, che fece da aiuto regia a Ford come in una sorta di prova generale per il film poi mai nato…


Curiosità: nel finale, dopo la morte del sacerdote che, riconosciuta la sua missione e pronto al martirio pur di dare l’estrema unzione ad un uomo (e così si conclude la parabola ispirata a San Pietro), la chiesa del luogo, tuttavia, non rimase sola e bussa alla chiesa un nuovo sacerdote, che viene accolto con deferenza da tutti. Sebbene assai poco riconoscibile a causa dei giochi d’ombra che ne oscurano il volto, esaltandone la figura, quel sacerdote altri non è che Mel Ferrer, al suo primo ruolo cinematografico…

La motivazione per cui il Sistema idrico dell’acquedotto di Padre Tembleque è stato inserito nel Patrimonio Culturale nel 2015:

“Questo acquedotto del XVI secolo si trova tra gli stati del Messico e Hidalgo, sull’altopiano centrale messicano. Questo sistema di canali comprende un bacino idrografico, sorgenti, canali, serbatoi di distribuzione e ponti per acquedotti porticati. Il sito incorpora la più alta serie di archi a un livello mai costruito in un acquedotto. Iniziato dal frate francescano Padre Tembleque e costruito con il sostegno delle comunità indigene locali, questo sistema idraulico è un esempio dello scambio di influenze tra la tradizione europea dell’idraulica romana e le tecniche di costruzione tradizionali mesoamericane, compreso l’uso dell’adobe”.


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